IN SERBIA BOTTE, BENZINA
E UN PROCESSO FARLOCCO.
PROBLEMI PER I VOLONTARI
VICINI A MIR SADA DI LECCO

LECCO – Sabato 1 febbraio si è ripetuto a Sid in Serbia, vicino al confine con la Croazia, un gravissimo episodio di violenza delle autorità serbe ai danni dei migranti e dei volontari di No Name Kitchen (NNK), l’associzione che a Sid (ma anche a Velika Kladusa, Patrasso e Montenegro) supporta e aiuta i migranti che cercano via terra, sulla rotta balcanica, di arrivare nella fortezza Europa entrando dalla Croazia. Da tempo le associazioni Mir Sada di Lecco e Arci Spazio Condiviso di Caloziocorte hanno intrapreso un rapporto di aiuto solidale con l’associazione No Name Kitchen (NNK) impegnata quotidianamente sulla cosiddetta Rotta Balcanica. Con una nota stampa i lecchesi denunciano e informano su quanto accaduto nei giorni scorsi e quanto accade ogni giorno ai migranti e ai volontari impegnati in azioni di aiuto e di solidarietà concreta.

Di seguito quanto ha riferito uno dei volontari che ha vissuto in prima persona l’episodio di forte e inaudita violenza.

Già la mattina del 25 gennaio, i volontari di No Name Kitchen presenti a Šid sono arrivati nei pressi della fabbrica abbandonata Grafosrem (“The Squat”), come fanno ogni giorno come parte della loro routine di lavoro. Ci vanno due volte al giorno per sostenere i migranti, che vivono dentro e intorno all’edificio, fornendo loro cibo, acqua, vestiti, ecc. La maggior parte delle persone dormono in tende nascoste tra i cespugli perché dormire nell’edificio stesso non è più sicuro da quando la polizia li ha sgomberati il 22 novembre 2019. I profughi ci tornano solo per passarci il tempo durante il giorno, e vanno a dormire nelle tende di notte. Tuttavia, dal 18 gennaio, operai mandate dalle Autorità locali si presentano ogni sabato per tagliare proprio questi cespugli. Come già la settimana precedente un gruppo di lavoratori si è presentato alle 9 del mattino nel lavoro di disboscamento intorno allo squat. Una prima volta hanno fatto il loro lavoro e se ne sono andati dopo un paio d’ore. Sono però tornati una seconda volta, accompagnati dalla polizia. Ben presto alcuni degli operai hanno iniziato a dare fuoco alle tende che si trovavano tra i cespugli. Inoltre, hanno raccolto gli effetti personali delle persone che vivevano nello Squat, li hanno messi su una pila che hanno dato alle fiamme. Quando uno dei volontari ha cercato di spegnere il fuoco e ha cercato di impedire di portare via le povere cose dei migranti, la polizia ha spinto e ha afferrato il volontario, mentre un altro volontario veniva colpito da uno degli operai. A un certo punto gli operai hanno deciso di andarsene. Tuttavia, poco prima di farlo, hanno tagliato una delle gomme del furgone di No Name Kitchen anche se la polizia era ancora presente. Uno degli operai è diventato particolarmente aggressivo e ha colpito un volontario; aveva una bandiera con simboli cetnici appesa al suo furgone, e indossava anche un tipico cappello.

Il giorno dopo, i volontari interessati dall’episodio si sono recati alla stazione di polizia per denunciare l’incidente. L’agente che ha raccolto la denuncia, ha dato loro il consiglio di chiamare la polizia se qualcosa di simile fosse accaduto di nuovo in futuro (anche se la polizia era stata presente per tutto il tempo in cui si era verificato il fatto). Finora, la segnalazione dell’incidente del 25 gennaio alla stazione di polizia non ha portato ad alcuna conseguenza per chi aveva compiuto gli atti. Il volontario di NNK ha tenuto a precisare che non tutti i lavoratori quel giorno sono stati coinvolti negli atti contro volontari e migranti, e che è stato solo uno quello che si è dimostrato particolarmente violento. 

Consci di quanto già accaduto la settimana precedente tre volontari di NNK hanno deciso di presentarsi molto presto nello Squat sabato 1 febbraio. Sono arrivati lì verso le 7:30 e hanno iniziato a svegliare le persone che dormivano nelle tende più vicine alla ex fabbrica. I volontari li hanno esortati a smontare le tende e prendere gli effetti personali per evitare che gli operai li portassero via, li bruciassero o li distruggessero di nuovo. Purtroppo non sono stati abbastanza veloci e quando gli operai sono arrivati, alle 9 del mattino, c’era ancora una tenda tra i cespugli, molto vicina all’edificio. Una delle volontarie era dentro la tenda per raccogliere tutto quello che c’era dentro, e un altro era in piedi proprio accanto ad essa; stava impacchettando un telo di plastica che serviva da ulteriore protezione. Uno degli operai si è avvicinato e ha iniziato a buttare benzina sul telo di plastica, così come sulla tenda anche se all’interno c’era ancora la volontaria che è stata bagnata, in parte, dal carburante. L’operaio ha poi dato fuoco al telo di plastica che la volontaria era ancora impegnata ad imballare. Il telo ha preso fuoco e, da quanto detto dai volontari, è stato per puro caso che anche la tenda, con la volontaria all’interno, non si sia incendiata. Quando un’altra volontaria ha cercato di documentare la scena con il suo telefono, un secondo operaio le ha gettato addosso un po’ di carburante. Uno degli operai aveva peraltro appeso la bandiera serba con simboli cetnici sulle pareti dell’edificio.

In ogni caso, i volontari hanno deciso di lasciare l’edificio il più rapidamente possibile con le cose che sono riusciti a mettere al sicuro. Hanno aspettato nel parcheggio che arrivassero altri volontari con l’auto a prenderli. Questi ultimi nel frattempo avevano anche chiamato la polizia, che non era presente come la settimana precedente. Mentre aspettavano, il vicesindaco di Sid, Zoran Semenovic, da poco arrivato, ha urlato ai volontari di uscire dal parcheggio e di aspettare dall’altra parte della strada. L’operaio che prima aveva usato la benzina e che aveva cercato di dare fuoco alla tenda, si è unito a lui. Poi ha dato uno schiaffo al telefono di una delle volontarie. Il telefono è caduto a terra e lui l’ha distrutto con il suo bastone. L’altro volontario ha cercato di mettersi tra la volontaria e l’operaio, che ha continuato a brandire contro di lui il bastone e a spingerlo via. Poco dopo sono arrivati i colleghi dei volontari con il furgone e in poco tempo è arrivata la polizia. I volontari hanno cercato di spiegare alla polizia cosa era appena successo. La polizia ha chiesto a tutti i volontari presenti di mostrare i loro documenti. Poi tutti i volontari, anche quelli appena arrivati e non coinvolti nei fatti, si sono dovuti recare alla stazione di polizia di Sid dove sono stati portati a bordo di un furgone della polizia. I volontari che erano arrivati da poco sul luogo con l’auto sono stati rilasciati abbastana rapidamente dopo essere stati perquisiti alla ricerca di armi o di oggetti pericolosi. I tre coinvolti nei fatti sono dovuti rimanere all’interno della stazione di polizia dove sono stati trattenuti dalle 10 del mattino alle 16 senza ricevere informazioni concrete sulla procedura in atto. Poco prima delle 16 sono stati informati che presto sarebbe iniziato un processo, anche se non avevano avuto la possibilità di rilasciare nessuna dichiarazione ufficiale. Sembrava che solo gli operai fossero stati autorizzati a rilasciare una dichiarazione o che qualcuno l’avesse preparata per loro, e che il processo si limitasse a verificare la loro versione che è stata letta ai volontari durante il processo.

Il processo si è svolto in tre parti senza che i volontari coinvolti fossero assistiti da avvocati e senza nessuna tutela legale! Ognuno dei volontari è stato “accoppiato” con uno dei lavoratori intervenuti e si è così capito che ogni volontario era accusato di aver aggredito la sua “controparte”. Durante ognuno dei confronti ai volontari non è stata data la possibilità di raccontare la storia dal loro punto di vista; gli è stato semplicemente chiesto di dimostrare che non avessero attaccato gli operai. Uno dei volontari di NNK, che era in coppia con il capo degli operai (quello con il manganello), ha cercato di spiegare che era stato proprio l’operaio ad iniziare le aggressioni. Il giudice ha invalidato questa dichiarazione indicando la forza fisica dell’operaio, secondo il giudice se avesse davvero aggredito il volontario, quest’ultimo sarebbe stato in pessime condizioni. Il volontario è stato poi giudicato colpevole di aver violato l’ordine pubblico, e ha dovuto scegliere tra venti giorni di carcere o una multa di 20.000 dinari serbi (circa 200 euro). Lo stesso è capitato alla seconda volontaria, che era stata bagnata con il carburante dal secondo operaio. La terza volontaria non è stata giudicata colpevole, in quanto si è confrontata con un operaio che non era stato coinvolto nel conflitto, che ha ammesso di non essere stato aggredito e che la dichiarazione preparata non era accurata. Per questo motivo è legittimo sospettare che potrebbero non essere stati loro a preparare le dichiarazioni.

Dopo il processo, i colleghi dei volontari di NNK sono venuti a pagare le multe. Nonostante questo, dopo che i colleghi se ne erano andati, i tre volontari “processati” sono stati trattenuti alla stazione di polizia per un’altra ora e mezza e alla fine sono stati autorizzati a partire all’una di notte. Scortati dalla stazione di polizia a tutti e tre – anche se una delle volontarie non era stata giudicata colpevole di nulla – è stato infine consegnato un documento che intima loro di lasciare la Serbia entro una settimana e impedisce di tornare per un periodo di sei mesi.

Il giorno dopo, il canale di notizie locali Sremska TV ha pubblicato un piccolo servizio da cui si deduceva che i volontari di No Name Kitchen avessero attaccato gli operai di Sid nei pressi della ex fabbrica di Grafosrem. Nella giornata di domenica il canale serbo N1 ha invece richiesto ai volontari un racconto dei fatti, mettendo online in serata un video che comprendesse il loro punto di vista.

Fin qui i fatti raccontati dal volontario di NNK che ci ha anche inviato la foto della bandiera con simboli cetnici affissa sull’edificio.

Una vicenda di violenza e illegalità istituzionale evidente che segue le tante altre, più volte denunciate dai volontari, nei confronti dei migranti e di loro stessi. Un ennesimo episodio dell’inferno che i migranti (e volontari) che percorrono la rotta balcanica vivono quotidianamente. Un episodio gravissimo connotato da violenza gratuita e da un procedimento legale senza alcuna garanzia per gli accusati (l’assenza di un avvocato per la loro difesa ne è l’esempio lampante).

Dobbiamo alzare la voce e cominciare a farla sentire a tutti i livelli. Ognuno contatti da subito le Autorità competenti a cominciare dalle rappresentanze diplomatiche italiana (segreteria.belgrado@esteri.it) e tedesca (info@belgrad.diplo.de) in Serbia (i volontari che sono stati praticamente espulsi sono un italiano e due ragazze tedesche) e dall’Ambasciata serba in Italia (amb.roma@mfa.rs).

Cominciamo anche solo con una mail del tipo “”Siamo venuti a conoscenza degli episodi di violenza avvenuti il giorno 01/01/2020 e dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti dei volontari dell’Associazione “No Name Kitchen” che aiutano i migranti a Sid (Serbia). Vi chiediamo di intervenire perché venga revocato subito il provvedimento che impone di lasciare il Paese in modo che possano continuare a portare aiuti umanitari ai migranti”.