DON GIOVANNI MILANI MEDITA NELLA SECONDA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

È l’ultimo versetto della lettura evangelica che ci è proposta in questa domenica a darci l’intero senso della lettura e dell’agire del Signore: per la fede dei discepoli. Ci è riportato il gesto epifanico della potenza divina di Gesù che ci parla in molti modi, qui, sommamente con la generosità gioiosa della grazia – la copiosità del vino ce ne dà evidente trasparenza simbolica – che apre senso nuovo alla religiosità antica. Anche se non ci è dato nel brano liturgico, l’episodio è inserito nell’accurato computo numerico del tempo a scandir la settimana giovannea, richiamo alla creazione e ci porta a Cana di Galilea a quel matrimonio, in vero non raccontato, cui partecipa la Madre di Gesù e al quale è invitato (ἐκλήθη: fu chiamato) lui stesso con i discepoli.

Aggiunta la compagnia di Gesù, manca il vino – elemento fondamentale e simbolo di festa – e Maria lo fa delicatamente presente al Signore che le risponde in modo piuttosto sibillino che a me piace interpretare come interrogativo retorico: “Non è cosa che sta solo tra noi, tra me e te: non è adesso giunta la mia ora?”. L’ora di Gesù è quella del suo totale dono per tutti gli uomini e si compirà con la ‘gloria’ della croce e resurrezione (tanto che gli studiosi chiamano la seconda parte del IV vangelo il libro dell’ora o della gloria).

Qui a  Cana si dà “l’inizio dei segni” di quell’ora, di quella gloria nel “segno” dell’acqua mutata in vino. Prima che si compia il segno – nel suo particolare rapporto con la Vergine da quello scambio di affidi dalla croce – Giovanni annota il sollecito richiamo di Maria a collaborare con il Signore Gesù: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”: evidente l’appello anche a noi. Su invito del Signore sono riempite d’acqua le sei grandi anfore di pietra (seicento litri! La narrazione qui addensa simbologia: sei, numero d’insufficienza verso la completezza del sette; la pietra nel ricordo antico dei coltelli di Giosuè per la circoncisione, ancora: l’abbondanza e il mutato uso dalla purificazione religiosa alla profluvie di dono nella grazia).

Ripiene con abbondanza, “fino all’orlo”, in uso davvero diverso da quello dell’adempimento legale, le anfore sono epifania della nuova ora di redenzione (creazione nuova) nel generoso dono del Signore.

È raccontato, lo dicevamo, non il matrimonio, ma il “segno” dove lo sposo vero è il Signore Gesù: è lui che dona il vino – il vino era dono di nozze e pure cura dello sposo come, nella narrazione, ci evidenzia il lamento di “colui che dirigeva il banchetto”.

Gesù non solo fa dono, come suggerisce la Madre, ma è lui ad approntare il mezzo della festa, della gioia; letizia ben diversa dalla festa terrena: solo i discepoli pare lo colgano nella fede.

Anche noi siamo sollecitati alla fede e a rendere grazie, noi che ne abbiamo richiamo alla generosità copiosa della grazia divina nella missione del Signore che sempre meglio va evidenziandosi e si compirà come nuova creazione.

Don Giovanni Milani