DON GIOVANNI MILANI
MEDITA NELL’11ª DOMENICA
DOPO PENTECOSTE

I cinque versetti che sono posti alla nostra riflessione in questa domenica sono tratti dal secondo dei cinque discorsi su cui, a richiamo della Legge antica, poggia il primo vangelo, quello di Matteo: il cosiddetto discorso apostolico. Il mandato che qui è dato, riguarda più propriamente gli apostoli elencati da Matteo appena prima che il Signore Gesù prenda qui parola, per questo discorso, d’invio appunto, pure – consegnato alla pagina sacra – coinvolge anche tutti noi, indicando uno stile di annuncio (forse, per noi oggigiorno, meglio di presenza testimoniante) che è quello dello stesso Signore. Gesù, che già abbiamo visto insidiato da prove e contrarietà, critiche e contestazioni da avversari, soprattutto religiosi come i farisei, indica anche ai suoi apostoli la via accidentata dell’annunciare il bene; contrasta così anche la diffusa illusione, di quanti – pur tra i suoi discepoli – attendendo il regno messianico, avevano certezza si attuasse nel facile trionfo glorioso del dominio divino universale.

D’esempio agli inviati è fondamentalmente il modello di umiltà, fortezza e pazienza nell’annuncio che la persona stessa di Gesù offre loro. In questo discordo apostolico del decimo capo di Matteo, non troviamo – come forse aspetteremmo – contenuti in messaggi dottrinali di cui fare annuncio; il Signore Gesù invece richiama l’attenzione degli inviati discepoli sugli atteggiamenti intimi ed
esteriori che hanno da imparare e far propri; ecco, nel nostro piccolo ritaglio, le indicazioni che il Signore offre ai portatori della sua comunicazione, del suo vangelo.

Qui in modo icastico li indica prendendo immagini dal mondo animale tanto consueto a chi lo ascolta: pecore e lupi, serpenti e colombe. Ci è facile riflettere sulle caratteristiche attribuite a questi animali per comporre la lezione interiore: le pecore tra i lupi non pare possano avere difesa e subito vi troviamo l’atteggiamento umile nell’annuncio: la Parola non è pensiero proprio, né dipende da competenze e abilità comunicative, è dunque da proporre nell’offerta e nel dono di grazia della Parola stessa.

L’apostolo, non si impone e già sa che – a similitudine del suo Maestro – non sarà facilmente accolto con onore; l’ascolto dell’impegnativa Parola che reca dal Signore, potrà non essere benevolo, anzi gli potrà procurare fatica e danno, ecco allora la prudenza (Gesù, con immagine sorprendente la indica nell’atteggiamento guardingo che possiamo osservare nel serpente); non sarà però doppiezza questa prudenza: l’inviato, al contempo dovrà avere la trasparente semplicità della colomba “senza fiele”. Gesù prospetta al discepolo inviato difficoltà, ma anche rassicura del sostegno
intimo dello “Spirito del Padre (vostro)” a suggerire difesa, conforto, approvazione. Anche il nostro testimoniare il Signore ha bisogno di conformarsi a questi atteggiamenti interiori sostenuto dalla certezza che il Signore Gesù sempre ci assicura nell’aiuto dello Spirito.

 

Don Giovanni Milani