DON GIOVANNI MILANI MEDITA NELLA SETTIMA DOMENICA DI PASQUA

Riprendiamo la preghiera di Gesù che già l’altra domenica avevamo principiato a considerare e di cui è ripreso l’ultimo lembo che insiste nella richiesta al Padre che “custodisca nel suo nome quanto gli ha dato”: cioè innanzitutto i discepoli presenti, vi leggiamo anche quanti, credendo, si affidano a lui.Il “custodire nel nome” è espressione ripetuta che ci dice non una tutela generica di benevola attenzione, significativa invece in riferimento preciso al Padre.

La custodia che già, per mandato del Padre, era cura del Signore Gesù, ora mentre egli si stacca dal mondo, la vuole affidare al Padre come, nella preghiera, dichiara agli stessi discepoli. Infatti è “nel suo nome”, cioè in quel rapporto originario con il Padre in cui sempre Gesù è stato ed ha voluto introdurre i discepoli. Chiede insistentemente, con certezza d’essere ascoltato ed esaudito (vedi 11,42), che “siano una cosa sola come noi”, fruiscano e godano di quello stretto rapporto che unisce nell’amore Gesù al Padre.Gesù ha avuto cura di custodire in quel legame d’amore che lo stringe al Padre quegli stessi, sì che “nessuno di loro è andato perduto”; ma solo “il figlio della perdizione, perché si compissero le Scritture”.

Il tradimento di Giuda non rende vana la custodia nel nome perché mostra il compimento della Scrittura.L’affidamento alla custodia del Padre, dopo che è loro tolta la presenza terrena di tutela di Gesù, è perché “abbiano in sé stessi la pienezza della sua gioia”, benché, proprio a sua somiglianza, odiati dal mondo.La preghiera è non per toglierli dal mondo: non è questa la custodia invocata, ma che siano custoditi, ossia difesi “dal maligno”.Il testo di Giovanni continua la preghiera con la richiesta che il Padre li “consacri nella verità” secondo la resa liturgica; propriamente il testo dice: ἁγίασον αὐτοὺς ἐν τῇ ἀληθείᾳ, Santificali nella verità”.

E ancora poi troviamo la medesima traduzione per l’affermazione secondo cui Gesù dice: “io consacro me stesso, perché siano anch’essi nella verità”.La scelta del testo della liturgia va secondo una sensibilità più accosto alla nostra, pure il senso non è di una unzione del tipo sacerdotale o battesimale, piuttosto verso un “separare”, cioè rendere unico, innalzare rispetto a quanto è più comune e basso (in questa stessa preghiera Gesù si esprime verso il “Padre santo”, che noi abitualmente chiamiamo tre volte santo: assolutamente unico e separato da ogni bassezza).

Questa santificazione/consacrazione è “nella verità”. Ritorna l’espressione cara a Giovanni che nel suo significato nella lingua greca dice lo svelarsi, il non rimanere nascosto e dunque l’imporsi all’evidenza, ma nella Scrittura antica e specificamente nella resa autorevole della “Settanta”, ha piuttosto connessione con la solidità accogliente e paziente: la fedeltà di Dio che qui ritorna nel senso della custodia nell’amore costante e fedele di Dio.

 

Don Giovanni Milani