FINALE DA “APOCALISSE”
PER IL TEATRO D’ATTORE.
DIGHERO TRAVOLGE LECCO

Dighero1LECCO – E se la fine del mondo fosse già qui? Intendiamoci: non quella della crisi finanziaria, né quella a cui ci hanno abituato tanti film catastrofisti, portata da dinosauri, meteoriti o extraterrestri. L’Apocalisse non arriva con gli effetti speciali, ma si è insinuata fra noi. A instillarci questo dubbio è il personaggio del Narratore, cappotto e lenti scure, appollaiato su un trespolo che è anche una sorta di tribuna da cui osservare lo sfacelo. Lui è Ugo Dighero, istrione eclettico che sa divertire e divertirsi, noto al pubblico televisivo (Mai dire Gol, Un medico in famiglia, Avanzi, Tunnel, Gialappa’s Band), che vanta anche una lunga carriera teatrale. Lo ha voluto come protagonista di Apocalisse il regista Giorgio Gallione (Teatro dell’Archivolto), per dare voce a un interessante collage dai racconti di Niccolò Ammaniti, scrittore molto amato per i suoi romanzi spesso trasposti al cinema, ma anche autore di folgoranti racconti.

Lo stralunato Narratore scrive a un amico lontano, forse salvo dall’Apocalisse che qui in Italia si manifesta come sofferenza del vivere: «è come se ci avessero tolto ogni sostanza anestetica» che ci rendeva la vita sopportabile. Infatti si prova dolore ad ogni battito del cuore, perfino nella crescita biologica di capelli, barba, unghie. Questo lugubre inizio, chiazzato però qua e là di ambiguità comiche, è il pretesto della cornice narrativa. Come fare per vincere la «apoplessia notturna» che la sofferenza apocalittica reca con sé? Il protagonista scrive: ricordi della vita passata e storie di ordinaria follia che si collocano sulla soglia dell’Apocalisse. La scrittura dunque è dichiarazione di presenza e memoria.

Dighero_2Comincia una cavalcata travolgente in cui si riversa tutta la maestria del narratore-Dighero, che si trasforma in una folla di personaggi stravaganti, presi a prestito dalla vena inventiva di Ammaniti. Il racconto Lo zoologo (dalla raccolta Fango) narra la bizzarra avventura dello studente universitario Andrea Milozzi. Per una serie di coincidenze, la sera precedente all’esame più importante della sua vita, cioè zoologia (che egli tenta per la terza volta), Andrea cade vittima di un’aggressione, ma grazie alle arti magiche di uno sciamano, il suo spirito ripiomba nel corpo. Seguiamo allora le vicende di Andrea-zombie, caracollante nella notte, mentre semina intorno a sé sconcerto per le sue stranezze: può girare la testa di 180 gradi e ricorda a menadito la nomenclatura zoologica, che ripete come un registratore inceppato. Supera brillantemente l’esame, diventa ricercatore (cataloga le mosche stercorarie delle fogne di Roma) e professore universitario. Certo, ogni tanto passa le giornate in una vasca di formaldeide per evitare la decomposizione, ma è molto amato dagli studenti, perché nel mondo accademico solo lui sembra vivo!

Il secondo racconto (Sei il mio tesoro, da Crimini) è più esteso e, se possibile, ancora più assurdo. Elementi di scena minimali fanno da cornice: una vecchia vasca da bagno, una sedia con schienale leopardato, a indicare un mondo griffato ed esclusivo, un telefono a forma di bocca sensuale, e soprattutto un lettino medico. Il protagonista infatti è primario di chirurgia estetica alla clinica “Nonna Lolita”. La sua vita è tutta un’iperbole: soldi, vizi, rum e droga. «Con il cervello glassato di coca», va in clinica per un’operazione di mastoplastica a una famosa attrice e nasconde temporaneamente nella protesi il suo “tesoro”, un sacchetto con un chilo di cocaina. Segue una serie grottesca di progetti, equivoci, colpi di scena, per recuperarlo. Fino alla scena finale, in cui cadrà sotto i colpi di un poliziotto dal grilletto facile, non prima di sniffare la sua ultima “pista”. Quand’ecco che dal mare arriva l’Apocalisse…

Dighero_3Le risate sono garantite, grazie alla bravura di Dighero, in un ritmo travolgente di parole e fisicità.

Si esce però con un senso di amarezza. Che cos’è la vita? Una sequenza di manie assurde, in cui tutti corriamo invano dietro alle nostre ossessioni, inconsapevoli dell’Apocalisse. Questa quête post-moderna, ci dicono Ammaniti e Gallione, è emblematica del nostro tempo: da un lato c’è il tentativo di dare ordine al mondo (la tassonomia zoologica), all’estremo opposto il desiderio di sballare, uscire dalla norma e dall’ordinario (la cocaina). In questa corsa frenetica i vivi bruciano la propria esistenza e gli zombie sembrano i più arzilli di tutti. La scrittura essenziale di Ammaniti muove i personaggi in un labirinto tragicomico e la resa scenica riesce a valorizzarne la velocità e a dare spessore alla valanga del grottesco.

Con questo sorriso amaro sulle assurdità della vita, all’incrocio fra letteratura e teatro, si chiude la stagione di prosa al Teatro della Società, che ha regalato al pubblico lecchese risate ed emozioni. Aprile porterà nuove storie, con il ciclo “Altri Percorsi”.

Gilda Tentorio