REFERENDUM/IL CONFRONTO:
IL SÌ DELL’EX SENATORE RUSCONI,
IL NO DI PIERO SCARAMUCCI

LECCO – Due personalità autorevoli con due opinioni opposte sulla riforma costituzionale che tra una settimana chiamerà i cittadini ad esprimersi con un referendum. Per le ragioni del No diamo spazio alla riflessione di Piero Scaramucci, giornalista, per trent’anni ha raccontato l’Italia e il mondo dai microfoni della Rai, direttore di Radio Popolare dal 1992 al 2002. A sostegno del Sì le dieci ragioni sostenute da Antonio Rusconi, più volte sindaco e assessore a Valmadrera, deputato del centrosinistra dal 2001 al 2008, poi senatore del Partito democratico.

 

piero-scaramucciMi permetto di scrivervi perché alcuni di voi, certamente democratici, esitano o magari temono di votare NO al Referendum. E invece è una partita grossa, come le macchie indelebili, non si tolgono più, rovinano un vestito. La Costituzione squinternata dalla Riforma Renzi/Boschi ci porterebbe dei danni irreparabili.

In tanti siete disgustati dal votare come Salvini, Berlusconi, Gasparri. E’ vero, pessima compagnia. Ma è tutto un casino. La destra gioca duro su due piatti. Berlusconi ha votato in una prima fase questa Riforma. Poi ha cambiato tattica quando è finito il Patto del Nazareno. Ora dice NO, ma le sue TV dicono esattamente il contrario. La verità è che a costoro il merito non interessa. Utilizzano il voto per farsi grancassa.

Però l’altro fronte, quello favorevole alla Riforma, è anche peggio. Ecco alcuni campioni di democrazia che affiancano la maggioranza del PD: senza clamore una parte di Forza Italia, e – alla luce del sole – Verdini, Casini, Alfano, la Mussolini, Marchionne, molti managers, Confindustria. Appoggiano la Riforma le principali reti TV. Persino i notiziari TV sui vagoni di Trenitalia! La appoggiano grosse banche italiane, anche Bankitalia, le banche d’affari internazionali. J.P. Morgan l’ha addirittura dettata: “…instaurati in seguito alla caduta di dittature… i sistemi politici e costituzionali del sud [Europa] presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle Regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori…” Così scriveva nel maggio del 2013, auspicando riforme costituzionali, quella banca d’affari che è in cerca di soluzioni politiche favorevoli a nuovi business. Ci dovrebbe dire qualcosa l’offensiva lanciata in questi ultimi giorni dagli ambienti finanziari, in testa Financial Times che prevede scenari catastrofici, addirittura una Italexit, se vince il NO!

Che fare? Votare con gli uni o con gli altri? Così non se ne esce. L’unica è valutare nel merito, infischiandosi di cosa dicono o fanno costoro.

Una pattuglia, certo più credibile, sostiene il NO. ANPI, CGIL, ARCI, settori cattolici, Libertà e Giustizia, quel che resta della sinistra e della minoranza PD. Non sarà molto, ma almeno entrano nel merito.

La Riforma, sostengono questi, contiene pasticci, gravi ma, presi singolarmente, sopportabili. I senatori/consiglieri regionali nominati dai partiti, che non avranno né tempo né modo di studiare le leggi e saranno agli ordini dei capobastone. Le competenze del Senato, confuse e portatrici di contenziosi ancora maggiori del presente. Le corsie preferenziali per i decreti del governo. Le competenze tolte alle Regioni, tutte, perché il governo avrà facoltà di avocare anche quelle che la Costituzione non gli attribuisce Per citare solo alcuni dei punti critici.

Ma quel che non è sopportabile è l’insieme delle norme perché prospettano un capo del governo con ruolo semipresidenziale, o addirittura presidenziale, senza contrappesi, relegando il Presidente della Repubblica a funzioni marginali. La legge elettorale, Italicum, già in vigore, rende esplicito questo progetto.

Ma, si obbietta, la legge elettorale cambierà, lo ha promesso la maggioranza PD. Sorprendente. Renzi ci ha messo la fiducia. Ha speso iperboli per sostenerla. Dopo mesi di polemiche, solo ora, alla vigilia del Referendum dice di accettare di cambiarla, ma l’ha annunciato per raccogliere il consenso della minoranza PD. Una volta vinto il Referendum non avrebbe più nessun motivo per farlo. Se non un aggiustamento, per esempio sostituendo “coalizione” a “partito”, perché si è accorto che potrebbe segnare la sua sconfitta. Mentre se vince il NO sarà indispensabile rimetterci mano, e ci sarà la possibilità di riscriverla.

Un altro timore tocca molti di voi: che la vittoria del NO produca uno sconquasso politico. Che cada il governo, uno degli ultimi centrosinistra nel mondo. Che si apra la strada ai Salvini o ai Grillo. Che precipiti la crisi economica. Che gli investitori fuggano. Ma perché mai? Dell’Italia gli investitori stranieri temono burocrazia, mafia e corruzione. Nulla a che vedere con la Costituzione. Il governo è nato e governa con questa Costituzione. La coalizione di governo non è in discussione. Renzi è liberissimo di restare, nessuno glielo può impedire. Potrebbe dimettersi solo per un suo personale calcolo politico. E’ vero esattamente il contrario. E’ questa Costituzione che consente al centrosinistra di governare. Invece se passa la Riforma, specie con questa legge elettorale, si spalanca la porta agli altri, come è successo a Roma e a Torino.

Chi governerà, dopo la Riforma, potrà varare le leggi che vuole (perché controllerà oltre metà del Parlamento). Potrà dettare i regolamenti parlamentari. Sarà la maggioranza (e quindi il governo) a scrivere (così è previsto) lo Statuto delle opposizioni. Avrà un controllo ferreo sui propri deputati perché sceglierà chi ricandidare. Imporrà alle Regioni interventi sui territori (autostrade, trivellazioni, discariche, insediamenti industriali, gasdotti come quello SNAM che attraverserà le zone sismiche marchigiane e umbre, ecc.). Potrà piazzare persone di sua fiducia ai vertici che contano (Borsa, banche, industrie, aziende, Rai compresa). Determinerà le maggioranze in Corte Costituzionale, Consiglio superiore della Magistratura, Autorità per le comunicazioni. Potrà votare anche da solo il Presidente della Repubblica. E avrà la facoltà di metterlo sotto accusa (evento assolutamente improbabile, ma di fatto possibile e quindi ulteriore elemento di ridimensionamento, se non di ricatto).

Sarebbe malsano che il PD tornasse al governo con un meccanismo di pieni poteri. Ma sarebbe tragico se a vincere le prossime elezioni fosse un Trump di casa nostra. Senza contrappesi istituzionali, senza che si possa incidere sulle leggi che progetta, con la prospettiva che inventi altri marchingegni per non essere scalzato da nuove elezioni. In tempi di fascismi e populismi rinascenti è doppiamente sbagliato indebolire gli strumenti democratici di controllo dei governi. Misura di una certa faciloneria, nel migliore dei casi.

In realtà la Riforma è una mossa disperata. Anziché correggere e migliorare le sue politiche questo governo si illude che esautorando il Parlamento si possa invertire il ciclo economico. Un uomo solo al comando. Senza intralci il Renzi di turno ci porta in salvo. Non è solo una deriva italiana. E’ un’idea che si aggira per il mondo: la democrazia è superata. E’ la cultura dell’Uomo della Provvidenza. In Europa l’abbiamo già provato, nel secolo scorso. Ci lecchiamo ancora le ferite.

Alcuni, di lunga esperienza politica, anch’essi certamente democratici, dicono che sì, la Riforma non va tanto bene, ma si deve essere realisti, pragmatici, adeguarsi ai tempi mutati, fare questo passo in avanti. A me pare che indebolire l’apparato democratico sia un passo indietro. Passo dopo passo, ci insegna la storia, la nostra storia, si rinuncia a qualcosa in cambio del peggio. E di solito non si può tornare indietro.

Il 4 dicembre alcuni di voi, o disgustati o perplessi, vorrebbero astenersi. Non ha senso, non sono elezioni nelle quali l’astensione può essere un messaggio alla classe politica. Qui si decide e basta, astenersi lascia agli altri decidere le regole del gioco. Abbiamo una rara occasione di scelta. Già non si è votato per la Città Metropolitana (ex Provincia). Non si voterebbe per il Senato. Alle politiche le preferenze non conteranno più.

Dovremmo pensarci molto molto bene. Lasciar passare la Riforma Renzi/Boschi è un danno, di quelli non rimediabili e forieri di altrettanto irreparabili distorsioni della democrazia. Nessun democratico dovrebbe assumersi questa responsabilità.

Scusate questa invasione nei vostri pensieri, ma se non la trovate inutile fatela leggere anche ad altri

Piero Scaramucci

 

antonio-rusconi10 RAGIONI PER VOTARE SI’

Vorrei, fra i tanti che disegnano per il prossimo referendum scenari apocalittici, cercare di riportare il dibattito al ruolo della politica, che rimane il luogo delle migliori risposte possibili in un determinato contesto storico.

Quando essa ha avuto la pretesa e la presunzione di andare oltre, promettendo la soluzione di tutti i problemi o addirittura la felicità, è nata la tragica stagione dei totalitarismi.

Quindi, ricordando come la politica sia il luogo del possibile e che, talora, il meglio è nemico del bene, cercherò di dimostrare con un mio personale e discutibile decalogo da ex parlamentare sia della Camera che del Senato, 10 ragioni che mi spingono a votare convintamente SI’ al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre.

Questa riforma nasce dopo 30 anni di fallimenti per eliminare il bicameralismo paritario che non esiste più in nessun Paese europeo: dalla bicamerale Bozzi (1983), alla bozza Ruffilli (1987), alla De Mita – Jotti (1992-94), alla Bicamerale D’Alema (1997) con il potere addirittura al Presidente del Consiglio di sciogliere il Parlamento, al Referendum del 2006 sulla Riforma Berlusconi. Chi, come il sottoscritto, ha svolto il ruolo di Capogruppo in Commissione sia alla Camera che al Senato, conosce che quel ruolo è sufficiente per perdere talora mesi con audizioni con i vari rappresentanti di categorie. Possiamo permetterci di perdere altro tempo?

All’Assemblea Costituente i maggiori partiti erano fortemente divisi sulla forma da dare alla seconda camera che, in precedenza, era di nomina regia. La DC era per un Senato espressione delle categorie sociali, i Repubblicani per una camera delle Regioni, le Sinistre (PSI e PCI) erano monocameraliste: il risultato fu il bicameralismo perfetto non voluto da nessuno, ma che impediva al vincitore un eccesso di governabilità, tanto è vero che, in origine, il Senato durava in carica 6 anni e nel 1953 e nel 1958 venne sciolto anticipatamente e solo nel 1963 venne modificata la Costituzione per parificare la durata a quella della Camera.

Per comprendere questo occorre reinserire la nostra Costituzione nel relativo contesto storico: sicuramente una grande Costituzione condivisa, soprattutto per i valori insiti nei Principi Fondamentali e nella prima parte, sui diritti ed i doveri dei cittadini, ma che dalla Parte Seconda (dove hanno inizio le modifiche proposte a voto referendario) risente del contesto storico.

La parte sull’ordinamento della Repubblica si fondava su due fondamentali paure: oltre vent’anni di dittatura fascista, con le ultime elezioni (libere?) del 1924 (quelle del delitto Matteotti), con lo scioglimento di partiti e sindacati, con l’uccisione di Gobetti, il carcere per De Gasperi e Gramsci. Solo in questo contesto si può capire l’art. 68 sull’immunità parlamentare di grande tutela, modificato solo dopo gli anni ’90. E, dall’altra parte, intanto che si lavorava alla Costituzione, aveva avuto inizio la tragica “guerra fredda”: non solo Berlino, ma anche Trieste era città occupata e, nel 1947, Togliatti e le Sinistre passarono all’opposizione del Governo De Gasperi.

Anche positivamente, la prima preoccupazione dei Costituenti era costruire le ragioni e le regole della vita comune, non la governabilità : forse per questo in Italia in 69 anni ci sono stati 63 governi, mentre in Germania 24.

Con la riforma il Governo dipende solo dalla fiducia della Camera, i cui soli parlamentari rappresentano la nazione; il Senato, formato da 74 Consiglieri regionali e 21 Sindaci, diventa la sede di raccordo tra Stato, Regioni e Comuni. Tranne alcune, specificamente indicate (il 5% circa), tutte le leggi devono essere approvate solo dalla Camera.

Non si fa una riforma costituzionale per tagliare i costi della politica: ma ritengo comunque positivo, oltre all’eliminazione dell’indennità per 315 Senatori (Sindaci e Consiglieri regionali manterranno la loro), la riduzione dell’indennità dei Consiglieri regionali pari a quella dei Sindaci della città capoluogo della stessa Regione, l’eliminazione dei rimborsi dei Gruppi regionali (il caso Lazio fu il più eclatante, ma anche Piemonte, Lombardia ….)

Il Presidente Napolitano nel 2013 accettò il reincarico a tempo limitato con l’impegno, da parte di tutti i partiti che l’avevano sostenuto, a votare una riforma costituzionale che permettesse una maggiore governabilità. I “saggi” incaricati con il Governo Letta hanno successivamente prodotto indicazioni simili a quanto contenuto nel testo proposto il 4 dicembre al voto referendario: solo questo può spiegare i motivi per cui alcuni partiti, come quello del Presidente Berlusconi hanno votato le prime 4 delle 6 letture della Riforma, cambiando parere dopo l’elezione del Presidente Mattarella.

Il Presidente della Repubblica, anche dopo il settimo scrutinio, nel nuovo testo deve essere votato da almeno i 3/5 dei votanti (finora bastano il 50% più uno degli aventi diritto); ovvero nessun Presidente può essere eletto senza la condivisione da parte dell’opposizione.

Per il Referendum abrogativo, se si raggiungono le 800.000 firme il quorum si riduce al 50% più uno dei votanti alle ultime elezioni della Camera, vengono introdotti inoltre la possibilità del Referendum propositivo e l’esame delle proposte di legge di iniziativa popolare in tempi certi; finalmente è prevista l’abolizione del CNEL.

Viene eliminata e riequilibrata gran parte della legislazione concorrente fra Stato e Regioni, frutto della modifica costituzionale del 2001 che aveva contribuito ad oltre 1600 ricorsi alla Corte Costituzionale. Le materie esclusive, come la sanità, rimangono in carico alle Regioni, a cui spettano la possibilità di nuove deleghe – il cosiddetto “regionalismo differenziato” – per gli Enti in condizione di equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio.

A conclusione dell’iter iniziato nel Governo Monti fino alla legge Delrio, che hanno “svuotato” le attuali Province con la trasformazione in ambiti ottimali territoriali ed il relativo trasferimento del personale in sovrannumero e di alcune competenze alle Regioni, si tratta – dall’art. 114 in avanti – di dare effetto conclusivo a tali provvedimenti, con l’abolizione del termine “Province”. Che cosa accadrebbe con un risultato negativo del Referendum?

Non sono e non sono mai stato tra coloro che personalizzano la politica e ritengo che “gli uomini passano e le idee restano”, ma sarebbe un grave errore per il senso del bene comune per il nostro Paese, trasformare il referendum del 4 dicembre non sul merito della riforma, ma sulla sorte del Governo Renzi.

Per quello, ci sarà presto un congresso del PD e tra poco più di un anno le elezioni politiche, dove i risultati del Governo Renzi saranno misurati: sarebbe un’occasione persa non rendere la seconda parte della nostra Costituzione più storicamente attuale ed il nostro Paese più governabile.

Antonio Rusconi