DON GIOVANNI MILANI,
MEDITAZIONE NELLA TERZA
DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano che è offerto alla nostra riflessione è tratto dal dialogo tra Gesù e Nicodemo, “uno dei capi dei Giudei, maestro d’Israele” e – dopo aver parlato del “nascere dall’alto”, “da acqua e Spirito” – propriamente ci annuncia il mistero centrale della missione di Gesù: tratta dell’amore sconfinato di Dio per il mondo. Beninteso che qui per “mondo” si tratti – non sempre è così nel vangelo di Giovanni – degli uomini, dell’umanità intera: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Questo amore è per la salvezza, non per la condanna del mondo: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Gli uomini – il mondo – si salvano, prendono senso, nella fede in lui, nel Figlio donato: “perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. È nel credere, nell’affidarsi al Signore Gesù venuto tra gli uomini come dono di Dio che si trova salvezza, si acquista il senso vero della vita. Il discorso si rivolge ad un maestro d’Israele che ha intuito la grandezza del Signore Gesù osservandone i ‘segni’ (già è stato narrato quello grande di Cana) ma è pieno di perplessità: va a lui di notte (“Sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”).

Anche noi possiamo esser simili a questo alto personaggio che – lo vedremo solo alla fine, dopo la morte di Gesù – si mostrerà discepolo; anche in noi posson sorgere lentezze e dubbi che solo una fiducia tenace: la fede nel Signore può sciogliere per darci luce, pienezza di vita. Infatti Dio ha mandato il Figlio nel mondo non per condannarlo, ma per portare chiarezza e luce, ed è questa luce – il Signore Gesù stesso – discriminante di giudizio; il Padre, pieno di tenerezza per gli uomini, ha inviato il Figlio per la loro salvezza; c’è però, nelle parole di Gesù a Nicodemo, la constatazione di tanta distanza dall’amore del Padre, dal dono di Dio: “la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvage”. Questo secondo tema della luce – di grande importanza nel IV vangelo già dalla vibrante ed anticipatrice pagina del prologo – ci rivela come la fede, non può essere solo una adesione intellettuale, ma un affidarsi al Signore Gesù, al suo insegnamento, alla sua guida, con una sequela vera di vita: è lui stesso la luce (“In lui [il Verbo] era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”). Notiamo come Gesù si stia rivolgendo a questo dottore d’Israele che gli si rivolge nella notte, con la copertura delle tenebre. Sono le opere, la concretezza delle scelte operative dell’uomo, a dire dei suoi valori, del seguire veramente il Dono di Dio che è Gesù: luce per il mondo. 

 

Don Giovanni Milani