25 APRILE: IN TANTI PER ANTIFASCISMO, DEMOCRAZIA E COSTITUZIONE

LECCO – Cerimonia sentita quella andata in scena oggi, giovedì 25 aprile, in occasione del 79° anniversario della Liberazione d’Italia dal Nazifascismo. Dopo la messa celebrata da don Gianni Cesena al santuario di Nostra Signora della Vittoria, in molti si sono aggiunti al corteo verso il Monumento dei Caduti, con il raccoglimento e la deposizione della corona d’alloro. Gremito anche il palazzo comunale per i discorsi della autorità.

Il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni ha preso parola leggendo l’estratto di uno scritto censurato di Antonio Scurati, il cui sunto sta nell’ultima frase: ” Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”. Nel discorso del primo cittadino, riportato integralmente in seguito, ampio spazio agli insegnamenti della storia e al significato di antifascismo e discriminazioni, con un approfondimento finale sul contesto attuale.

Interventi poi di Mattia Micheli, vice presidente vicario della Provincia di Lecco, Sergio Pomponio, prefetto di Lecco, ed Enrico Avagnina, presidente dell’Anpi locale, che si sono soffermati sull’importanza della giornata e sui valori alla base della democrazia e della costituzione, prima della degna conclusione sulle note dell’immancabile “Bella ciao“.

IL DISCORSO DI GATTINONI
Buongiorno a tutti e grazie per essere qui numerosi.

Un saluto a Sua Eccellenza il Signor Prefetto di Lecco Sergio Pomponio, al Vicepresidente della Provincia di Lecco Mattia Micheli, al Presidente dell’Anpi di Lecco Enrico Avagnina, alle numerose rappresentanze e autorità civili (Parlamentari, Consiglieri regionali, provinciali e comunali, Assessori), militari (Sig. Questore di Lecco, Forze d’Arma) e religiose (Vicario Episcopale Mons. Gianni Cesena).

Un caro saluto, soprattutto, a voi, cittadini lecchesi, che partecipate con entusiasmo a questa cerimonia a quasi 80 anni da quel 25 Aprile 1945 che segnò la libertà dal nazifascismo. La liberazione di un popolo oppresso e stremato, dopo un ventennio di dittatura, della cui storia ora leggerò una delle pagine più emblematiche e rivelatrici.

«Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, (il 10 giugno 1924 n.d.r.) in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come aveva lottato per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. (…) Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.

Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? (…)

Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana».

Questo, lo avrete riconosciuto, è un estratto dal discorso che lo scrittore Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere in un programma Rai. Come ben sappiamo, questo testo è stato censurato. Accogliendo la proposta del Sindaco di Bergamo Giorgio Gori, così come di tante anime della nostra società, ho ritenuto importante aprire così questo mio discorso nel 79° Anniversario della Liberazione dal Nazifascismo.

Perché si può non condividere tutto, o forse anche quasi nulla, del senso o della modalità di quel discorso ma non si può tollerare, che in Italia, nel 2024, 100 anni dopo l’omicidio Matteotti, si venga discriminati per le proprie idee e limitati nella possibilità di esprimere liberamente la propria opinione.

E guardate bene che l’essere antifascisti, a differenza di quanto oggi qualcuno sembrerebbe far trapelare, non è un’opinione come un’altra, che può più o meno piacere, con cui si può più o meno essere d’accordo. No. L’essere antifascista è base della democrazia: Antifascista è, addirittura, fondamento costituzionale della nostra Repubblica (XII disposizione). Antifascista, è tutta intera la nostra Italia!

Spesso si dice, con una nota formula retorica, che la storia è maestra di vita, che occorre imparare dagli errori del passato per non ripeterli in futuro.

Bene, dunque, interroghiamo la storia: come nasce un regime? Interroghiamo la storia: come nasce una dittatura?

Inizia manipolando la comunicazione, anche censurando gli artisti, allontanando chi, pure in un ambito non politico, rappresenta un riferimento forte per la coscienza critica e per la società intera. In questo modo si orienta l’opinione pubblica: occultando il vero. E attenzione, che dare notizie “a metà”, non complete, cioè, parziali, equivale a dare notizie false.

E ancora, la storia ci insegna che un sistema politico diviene antidemocratico quando il senso della partecipazione è svilito, quando le dinamiche elettorali sono ridotte a mera procedura formale utile a raggiungere e mantenere il potere, il potere fine a sé stesso, alla lunga, anche a danno dei cittadini e delle comunità; un sistema diviene antidemocratico quando le Istituzioni pubbliche, anziché costituire il baluardo dei cittadini, anziché collaborare lealmente tra loro, vengono occupate da logiche di parte e diventano esse stesse, le istituzioni, una moneta elettorale. Un sistema diventa antidemocratico quando le Istituzioni, così personalizzate e afferenti a un “capo”, sostengono precise filiere di interessi e alimentano circuiti burocratici attraverso cui il potere fa scorrere risorse sempre a senso unico, così da includere taluni ed escludere scientificamente altri, alla fine accumulando veri e propri privilegi, sempre a vantaggio della “propria” parte.

Ecco chiarito perché la democrazia è un sistema fragile: perché, se non animata da etica e valori, se tradisce il Bene Comune, può sgretolarsi facilmente, perdendo partecipazione e quindi impulso vitale.

La storia ci insegna che, scendendo nell’abisso antidemocratico, si vanno a comprimere le libertà, personali, sociali e politiche. Si vanno a discriminare o vessare le minoranze, a partire da quelle in maggiore difficoltà.

E certe discriminazioni, badate bene, sono tutt’altro che distanti.

Discriminazione, oggi, è non riconoscere diritti di civiltà ai bambini e alle bambine di origine straniera nati in Italia a cui la cittadinanza è negata, nonostante frequentino le nostre scuole, le nostre società sportive, i nostri figli. Discriminazione è tagliare risorse a sostegno delle persone con disabilità grave, lasciando genitori disperati e soffocati dal peso di una cura che ricade tutta sulle loro spalle. Discriminazione è rendere impraticabile un’accoglienza strutturata e dignitosa dei migranti. Quando un sistema appositamente congegnato per escludere (non per includere!) impedisce a un migrante di potersi formare, lavorare (e quanto ce ne sarebbe bisogno!) pagare le tasse, pagarsi un affitto e costruire un futuro.

La storia ci insegna, ancora, che in epoca di populismi, slogan comunicativi vengono facilmente spacciati come “verità” a buon mercato, così che quelle minoranze già discriminate, divengono automaticamente il bersaglio su cui far riversare la rabbia, l’insoddisfazione o la sofferenza. E i discriminati, a loro volta, generano gruppi di esclusi o di disperati da cui possono esplodere tensioni, conflitti, violenze, quando non addirittura bacini di reclutamento per la criminalità e per l’illegalità.

La storia ci insegna anche che la buona politica non è questa: ci insegna che democrazia, inclusione e solidarietà vanno sempre tenute insieme nel rafforzare la comunità. La buona politica è tutelare i più fragili, è mettere al centro i diritti e i doveri sanciti dalla nostra Carta costituzionale, anche a rischio di perdere un punto percentuale di gradimento, o addirittura di perdere le elezioni. Come ha detto Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele: “La Costituzione è stata scritta per dire mai più povertà, mai più disuguaglianze, mai più discriminazioni, mai più guerre”.

Su quest’ultimo passaggio, le guerre, permettetemi un riferimento necessario al ruolo dell’Europa. Personalmente credo che l’8 e 9 giugno saremo di fronte a uno spartiacque epocale.

Da una parte c’è una visione di Unione Europea che si ispira al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi i quali, pur confinati come oppositori del regime fascista, già disegnavano gli Stati Uniti d’Europa.

Il rischio, dall’altra, è di vedere degenerare un’Europa sempre più simile a un condominio impazzito, dove predominano gli egoismi dei singoli stati-inquilini, senza alcuna visione unitaria né di futuro, né di pace.

Perché occorre dircelo chiaramente: sul piano politico, solo l’Europa unita può e deve difendere il diritto dell’Ucraina a esistere e a resistere; solo l’Europa sa bene che l’antisemitismo riapparso va subito arrestato, ma che è necessario fermare la strage nella striscia di Gaza; solo l’Europa è il rifugio per tanti perseguitati, dall’Iran all’Armenia, e deve restare presidio di libertà, non di esclusione.

Abbiamo bisogno che il nostro comune futuro europeo sia lo spazio dove si costruiscano le soluzioni, non dove ci si accusi dei problemi! (se mai occorresse una dimostrazione, basti pensare a quanto ha fatto l’Unione Europea per le nostre comunità grazie al piano Next generation EU). Abbiamo bisogni da risolvere che non aspettano! Temi dirimenti come l’accoglienza, la lotta al cambiamento climatico, un welfare sostenibile, le infrastrutture materiali, scientifiche e tecnologiche, possono trovare una risposta solo su scala sovranazionale.

Certo, siamo tutti consapevoli che la nostra Unione Europea debba essere riformata. Ma con intelligenza! Su questa linea si è espresso Mario Draghi in un articolo del 16 aprile, rompendo il suo laborioso silenzio che durava da settimane e proponendone, letteralmente, un “cambiamento radicale”: “Il nostro processo decisionale e i nostri metodi di finanziamento sono stati concepiti per il “mondo di ieri”, ossia pre-Covid, pre-Ucraina, pre-scoppio della crisi in Medio Oriente, prima del ritorno della rivalità tra le grandi potenze. Abbiamo bisogno di un’Unione europea che sia adatta al mondo di oggi e di domani. […] Abbiamo bisogno di un partenariato rinnovato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che i Padri Fondatori fecero 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio”.

Il prossimo 8 e 9 giugno avremo dunque un appuntamento con la storia, partecipare numerosi attraverso il voto vuol dire rafforzare la nostra democrazia, la nostra storia comune

tra Stati europei che nacque dagli orrori della Seconda guerra mondiale, grazie ai valori antifascisti, che sono stati, sono e saranno sempre i nostri valori.

Cari lecchesi, ricordiamoci sempre, infatti, che la nostra città è Medaglia d’Argento al valor militare per l’attività partigiana, Un riconoscimento che svetta sul nostro Gonfalone cittadino, che ci venne consegnato 50 anni fa dalle mani di Sandro Pertini, giornalista, partigiano, allora Presidente della Camera prima di ricoprire la carica più alta dello Stato.

E Lecco è orgogliosa della sua storia antifascista, e vuole tenerla viva e forte.

Per questo, oggi è con grande emozione che posso comunicarvi una scelta dall’alto valore simbolico, etico e politico. Su impulso di diverse parti attive della società civile, in particolar modo di Anpi, e in accordo unanime con tutte le forze politiche che siedono in Consiglio comunale, che ringrazio per la condivisione, abbiamo deciso l’intitolazione di un luogo significativo per la storia di Lecco a una donna, un’operaia, una combattente per la Liberazione. A lei dedicheremo la piazza più alta della città, a lei, che tenne le fila di una delle prime battaglie della Resistenza italiana, dedicheremo lo spazio più ampio che si affaccia su tutte le nostre montagne: il piazzale della funivia dei Piani d’Erna, porterà il nome di Francesca Vera Ciceri.

Vera Ciceri, nel 120º anniversario della sua nascita, storica figura della lotta partigiana lecchese, Presidente dell’Anpi Provinciale di Lecco dal 1980 al 1988 e Medaglia d’oro per meriti patriottici e civili insignita dal Comune di Lecco nel 1977.

Un gesto di grande forza morale e dall’altissimo valore civile che ci ricorderà sempre che siamo tutti figli della Resistenza, che dirsi antifascisti non è una opzione facoltativa.

Semplicemente è ricordarci da dove veniamo e dire grazie a chi ci donò la libertà.

Viva Lecco! Viva l’Italia! Viva il 25 Aprile!