ALESSANDRO BARBERO, PREMIO ALLA CARRIERA. “I ROMANZI SONO LUOGHI DI VACANZA. MANZONI? LO SI APPREZZA DOPO”

LECCO – Lo storico e professore universitario torinese Alessandro Barbero ha ricevuto il Premio Manzoni alla carriera, che segue il Premio Manzoni per il romanzo storico ricevuto 2011.

Dopo la cerimonia di premiazione di due settimane fa per il miglior romanzo storico, giovedì 9 novembre, nell’auditorium Casa dell’Economia di Lecco conferito il Premio Manzoni alla Carriera. Il vincitore di quest’anno, lo storico e professore piemontese Alessandro Barbero, è il primo nell’albo d’oro – che include nomi come Luis Sepulveda, Umberto Eco e Dacia Maraini – a potersi fregiare di entrambi i riconoscimenti, grazie al premio al miglior romanzo storico ottenuto nel 2011 per “Gli occhi di Venezia”.

Il presidente di giuria, professore e critico letterario Ermanno Paccagnini è stato anche il moderatore della serata, che è stata un’occasione per sviscerare il processo creativo di Barbero e dare al pubblico un assaggio del suo ultimo romanzo, “Brick for stone”, un racconto tra ironia e complotti del pre-11 settembre.

Barbero, dialogando con Paccagnini, ha spiegato che il romanzo “non è storico nel modo più assoluto, perché per me il romanzo storico deve riportare la mentalità dell’epoca e non essere solo ambientato nel passato, come nel caso de “I tre moschettieri” di Dumas, un grande romanzo con personaggi che sarebbero potuti vivere nell’epoca dell’autore; a me non interessava parlare della vita di vent’anni fa o riportare storicamente un evento che conosciamo tutti, soprattutto perché ho iniziato a scriverlo nella primavera del 2002 e, continuandolo a pezzi, l’ho concluso 20 anni dopo”.

La curiosità di Paccagnini si sposta poi sulla genesi dei romanzi, che variano in tempi e luoghi dalla Prussia del 1806 alle rivolte contadine del 1300: Barbero sottolinea che “i romanzi sono momenti della tua vita, un po’ come i posti in cui vai in vacanza: l’elemento comune è che t’innamori di un tempo o di un personaggio e ciò t’interessa più di ogni altra cosa per quel periodo, come per gli oggetti di studio nel mestiere di storico; l’innamoramento si conclude quando produci qualcosa di materiale e questo è il contrario del lavoro alienato teorizzato da Karl Marx, in cui ognuno produce una parte senza poter vedere il risultato: con il libro, il risultato è tangibile, da lì la sfida finisce e si aspetta la prossima”.

Barbero continua sottolineando che “il mio primo romanzo, “Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo”, mi ha cambiato la vita: il libro fa finta di essere il diario di un gentiluomo americano in viaggio nell’Europa di Napoleone nel 1806 e si conclude con la battaglia di Jena, grande sconfitta dell’esercito prussiano da parte di quello francese; questa letteratura di viaggiatori inglesi e francesi del ‘700, che si ritenevano superiori, nasconde il fatto che il libro nasce da una mia esperienza intima: da bambino, io giocavo ai soldatini ed ero innamorato dei soldatini prussiani grazie al capitolo sulla battaglia di Jena in una vecchia biografia di Napoleone di Hilaire Belloc, letta a 10 anni; la Prussia, uno stato finora marginale con un esercito invincibile, viene sconfitta totalmente da Napoleone e io mi sono appassionato alla vicenda, cercando tra le biblioteche e inventandomi un alter ego per vivere in quel mondo, scrivendo così il libro in 10 anni”.

Paccagnini ha poi chiesto a Barbero di fare un riassunto mirato del libro, “per toccare i punti giusti per i lettori”, affermando che “se voi leggete i libri di Alessandro, dovete divertirvi alla prima lettura, ma poi, nel momento in cui ci tornate, ripartite da capo per leggere altre cose che non avete colto”.

Barbero ha dunque introdotto il contesto e i personaggi, riuniti in una sorta di Armata Brancaleone che vuole sventare un sospetto attentato: “Dopo lo stato di shock del 2002, anno in cui ho iniziato a partorire l’idea, ho imbastito una trama che parte con i sospetti della Cia: oltre alle indagini normali, si lascia carta bianca ad Harvey, un agente un po’ matto che crede che l’attentato sarà a New York ma anche preparato a New York; convinto di poter intercettare i terroristi cercando segnali fisici nella città, raduna una squadra di ricerca composta per esempio da un linguista di origine tedesca, specialista di insulti in tutte le lingue, ispirato alla figura reale di Reinhold Aman, editore della rivista sul linguaggio offensivo Maledicta, che scoprirà qualcosa decifrando le scritte nei bagni pubblici”.

Barbero sottolinea che, nell’opera, “New York è un vero e proprio personaggio fondamentale: ci sono stato da turista, ma in realtà ci siamo nati e vissuti tutti tramite la tv. L’idea di fondo era che scrivere questo tipo di libro fosse anche impadronirmi della città, che nel 2002 significava procurarsi cartine, orari della metro e altri dettagli, in un’epoca in cui per raccontarla avrei dovuto fare ciò che avrebbe fatto Manzoni al suo tempo: nella gestazione dell’opera, invece, ho potuto scegliere fisicamente i quartieri e le case dei personaggi da Google Maps, in una modalità che potenzia la tua invenzione, te la fa sembrare vera. A differenza di Manzoni, che per esempio ha edulcorato la tipologia di figura di Don Abbondio perché faceva fatica ad immaginare un parroco italiano del ‘600, che in genere girava con l’archibugio ed era spregiudicato e violento, fuori dall’idea controriformista che avrebbe attecchito più tardi”.

Interrogato sulla sua opinione sul Manzoni, Barbero evidenzia che “per un ragazzo degli anni ’70 era ridicolo, la sua poetica e le sue opere annoiavano e la sua ironia in adolescenza non attrae; a posteriori, contestualizzando, ho visto la straordinaria abilità di presentazione e la condensazione dei concetti. Io penso che nell’Italia di oggi la scuola sia il pezzo della nostra società migliore in assoluto, ma corre il rischio di imporre dall’alto le conoscenze suscitando reazioni di rigetto, perché “I Promessi Sposi” sono un’opera che ho riletto e capito davvero dopo, fuori dall’edizione scolastica. Mi dispiace anche lo status ambiguo del Manzoni come autore internazionale: il lettore medio colto non lo conosce e non capisco perché, poiché era partito per averlo. Facendo un cortocircuito con la Prussia del 1806, il generale Clausewitz, che all’epoca era un giovane ufficiale, scrisse una lettera alla moglie nel 1830 in cui diceva di aver letto i Promessi Sposi e di ritenerli interessanti”.

Paccagnini chiede poi di spiegare il tema della Provvidenza presente nel romanzo, collegato alla presenza di due romanzi dello scrittore americano Thornton Wilder, “Il Ponte di San Luis Rey” e “Idi di marzo”.

“Harvey è un agente della Cia che ha un rapporto complicato con l’agenzia e la sensazione che i superiori sappiano qualcosa: io sono venuto a contatto con la teoria cospirazionista che dice ciò e non ci credo, ma in un romanzo ci sta bene. Dunque non ho voluto descrivere la cospirazione, ma, nella scena in cui Harvey va dal suo capo, ho inserito sulla scrivania il romanzo di Thornton Wilder “Il ponte di San Luis Rey”, ambientato nella Lima di inizio ‘700, in cui si narrano le storie di 7 persone morte nel crollo di un ponte e si pone il problema del male e della casualità, del destino: nel provare a raccontare la scena dell’attentato che abbiamo in mente tutti e decidere se inserirla o meno, lì mi sono sentito sul ponte di San Luis Rey. Successivamente entra nel discorso “Idi di Marzo”, l’altra opera di Wilder, un libro divertente sull’omicidio di Cesare che si apre con la richiesta al segretario di preparargli sulla scrivania del Senato tre presagi favorevoli, tre neutri e tre sfavorevoli, in cui Cesare però non crede: simbolicamente, come le Idi di Marzo sono una data legata all’omicidio di Cesare, l’11 settembre è rimasto legato all’attentato di New York. Questo è un gioco più mio che dei personaggi, in cui ho individuato uno scrittore che ha scritto libri che sembrano legarsi allo stesso tema.”

Paccagnelli cita dunque l’introduzione di “Idi di marzo”, secondo lui un ulteriore legame con la motivazione di Barbero: “lo scopo principale di questo lavoro non è di ricostruzione storica, ma di aprire una fantasia su certi avvenimenti e certe persone degli ultimi giorni della Repubblica di Roma”. Barbero risponde che in questo caso il critico ha visto più lungo dell’autore.

Paccagnini nota che nelle sue opere Barbero adotta più piani narrativi, collegandosi all’aspetto orale e divulgativo, che riporta un racconto vivace che esula dalla scrittura normale; Barbero evidenzia che “in questo modo racconti al lettore cose che non sa senza appesantire, come succede nei festival, in cui porto argomenti che si prestano ad essere raccontati e non ciò che ho scoperto io, perché il già scoperto è sufficiente. Differentemente, nello studiare si cercano una prospettiva nuova e nuovi problemi, in dialogo con i colleghi e utilizzando le note, che si escludono in libri in cui so che i colleghi non troverebbero novità, ma il pubblico sì. L’editore Giuseppe Laterza, venticinque anni fa, mi chiese una biografia di Carlo Magno senza note, perché pensava che il pubblico ne avesse paura; successivamente la University of California Press l’ha tradotta in inglese e mi ha chiesto di aggiungere le note, da lì i tentativi con le note hanno funzionato.”

“Il libro “All’arme! All’arme! I priori fanno carne!”, sulle rivolte contadine del ‘300, è nato da una serie di conferenze e poi trasformato: in esso narro rivolte che grondano speranza e sangue, represse nella violenza ma con episodi sorprendenti. Una riflessione sul perché le chiamiamo rivolte e non rivoluzioni: il nostro tempo è scandito da rivoluzioni, inglese, francese, americana, russa; in questo caso, le ribellioni hanno i caratteri della ribellione di classe marxista, in cui i lavoratori si muovono insieme contro lo sfruttamento dei padroni; per questo la storiografia non marxista le ha ridotte a rivolte di poveracci senza logica, che in verità avevano obiettivi chiari, come un’uguaglianza di condizione o, nel caso dei Ciompi, con lucidità ulteriore l’organizzazione di un sindacato. Nel caso francese, clero e nobili avevano le funzioni di garantire la salvezza delle anime e difendere il paese con le armi, mantenuti dalla maggioranza, ma, con la Guerra dei Cent’anni e la sconfitta disastrosa dei nobili e del re, matura la ribellione e la soluzione da anime semplici: ucciderli tutti.”

La serata si è conclusa con la consegna della targa da parte del presidente di 50&Più Eugenio Milani e del sindaco di Lecco Mauro Gattinoni, che hanno evidenziato la grande capacità del professore e l’importanza della divulgazione ai giovani, presenti in gran numero in sala.

Michele Carenini