RELIGIONI/LA MEDITAZIONE
DEL BATTESIMO DI GESÙ
DI DON GIOVANNI MILANI

Nel vangelo di Marco, a trovare il nostro conciso testo domenicale, non c’è bisogno neanche di girar pagina: è la prima. Il famoso titolo: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.” e subito con un’evidenza profetica tolta di peso da Isaia, ci è presentato Giovanni, nel luogo – il deserto – e il sembiante dell’irsuto Elia.

Giovanni proclama un battesimo di conversione pur subito dicendo la grandezza d’un altro – che non lo farà in acqua come fa lui – ma l’immersione di quello, ben più “forte” di lui, di tal grande dignità da non esser degno, neppure l’austero Battista, di slacciargli il sandalo: il battesimo di quello sarà nello Spirito santo.

Fermiamoci qui sul battesimo. Sappiamo che la parole è diventata nostra dalla lingua del vangelo, ha senso di “immersione” e subito dobbiamo dire che non era cosa usuale nelle terre piuttosto aride palestinesi, pure non era estraneo al costume. Era piuttosto segno solenne di radicale cambiamento di vita; diventava emblematico per lo schiavo che acquistava libertà: certo una vita diversa con ben altra pienezza d’umana dignità. Era anche nell’uso religioso, diceva il risoluto cambiamento del proselito (il gentile, cioè chi non aveva radici ebraiche) che entrava, con la circoncisone, nel popolo di Giacobbe, l’Israele di Dio.

Il battesimo proclamato da Giovanni voleva dunque significare un mutar radicale, una conversione decisa verso il Signore, ma era tutto nei propositi umani.

Il battesimo di Gesù è ben altra cosa: immersione nello Spirito, pari all’unzione profetica. Ricordiamolo, con gesto esteriore, erano unti, consacrati, re e sacerdoti, i profeti invece – dalla tradizione ebraica pur considerati tali: consacrati – non lo erano liturgicamente ed esteriormente spesso (pensiamo ad Amos, o a Geremia) erano osteggiati e misconosciuti.

Ecco il senso del battesimo nello Spirito. Noi sappiamo bene ci fa figli e ci abilita a segno profetico (quanto sarebbe giusto ricordarcene!).

Con la sobria concisione di Marco, ci si dice di Gesù, venuto di Galilea a farsi battezzare da Giovanni. Matteo ci mostrerà le rimostranze del Battista, ma Gesù sta fermo nel “compimento di ogni giustizia”. Il Signore, non ha peccato, si umilia nel battesimo dell’acqua di Giovanni a segnalare il suo risoluto assumere su di sé la debolezza dell’uomo, di quell’Adamo di terra ch’è venuto ad innalzare, a prezzo di croce, sino alle altezze divine.

Allora si squarciano i cieli e scende lo Spirito a consacrarlo profeta, la lettera agli Ebrei ce lo dirà sacerdote secondo l’ordine, non d’Aronne ma di Melchisedek, re poi non lo è solo per discendenza davidica; lo Spirito si accompagna alla voce dal cielo (sappiamo il senso antico della Bat Qol, la figlia della voce, o del tuono, voce di Dio, vedi il salmo 28).

Lo Spirito è come colomba, quella della risorta serena pace che annuncia a Noè, quella che i Padri della Chiesa vedevano nella Ruah creatrice a “covare” le acque primordiali.

E quella voce si esprime proclamando: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto
il mio compiacimento”. Il figlio amato è qui evidentemente il Figlio di Dio, pure,
nella tradizione ebraica il figlio amato era ed è Isacco -tanto ancora ricordato nella festa della Legatura –.È giusto qui ricordarlo perché la legatura accettata d’Isacco richiama per noi, proprio all’inizio della missione di Gesù alludendo al sacrificio redentore di croce che sarà l’esito visibile prima della gloria di resurrezione.

Il battesimo epifanico del Signore ci fa memoria del nostro, del suo senso, del suo dono, del suo impegno ed anche grato ricordo di chi ce ne ha fatto dono dopo la vita fisica con quella di grazia.


Don Giovanni Milani

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