DON GIOVANNI MILANI MEDITA NELLA QUINTA DOMENICA DI PASQUA

Prima della narrazione della passione del Signore Gesù, il vangelo di Giovanni si dilunga nei discorsi dell’ultima cena che si concludono in questo capitolo 17.mo che è solitamente detto, più o meno propriamente, la preghiera sacerdotale e sarebbe meglio chiamare preghiera dell’unità o per l’unità della Chiesa. 

Gli studiosi credono di individuare una complessa elaborazione del testo, ma a noi interessa piuttosto alimentarci a quella intensità che vede al centro termini come ‘gloria’ ed ‘ora’, non nuovi, ma certo a noi non così consueti nell’accezione del nostro uso abituale, disparata rispetto al sentire di Giovanni. 

Già a Cana di Galilea abbiamo trovato il richiamo all’ora che qui “è giunta”; subito avvertiamo, nell’innalzarsi dell’invocazione al Padre, come abbia senso supremo; nel quarto vangelo riconosciamo facilmente indichi il sacrificio del Signore Gesù sulla croce, e sempre qui – contrariamente al nostro immediato sentire – è un po’ tutt’uno con quanto è detto ‘gloria’. 

Mentre nel nostro intendere corrente la gloria si connette a vistosi trionfi e nel pensiero classico all’apparire, il termine, della lingua di Gesù si riferisce al peso, cioè all’importanza di qualcuno o qualche cosa: la gloria del Signore Gesù dà peso, fa concreto, incarna e compie il mandato d’amore del Padre. 

Gesù qui invoca dal Padre che lo glorifichi e al tempo ne resti, lui pure, glorificato tanto è intenso il legame, fin nel sacrificio, del Figlio con il Padre. 

Coloro che gli ha dato avranno allora la vita eterna che è “conoscere”, consiste nel fare esperienza, nell’unione vitale con “l’unico vero Dio, e colui che ha(i) mandato, Gesù Cristo”. La vita eterna, non si riferisce tanto ad un tempo infinitamente esteso – come ci è istintivo pensare – indica piuttosto un rapporto, l’intensità del legame che, nel Signore Gesù, ci lega con il Padre. 

Gesù ha ricevuto il mandato di donare la vita eterna ai discepoli e glorifica il Padre appunto in questa opera di salvezza e rivelazione: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola” (la parola di Gesù è la stessa del Padre). 

Gesù prega per loro, non per il mondo; “perché sono tuoi” dice al Padre mentre ormai non è (librato verso il Padre, non si sente ormai) più nel mondo, mentre essi vi permangono. 

E qui il culmine: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi”. La preghiera che svela il misterioso rapporto tra Gesù e il Padre vibra non solo nel loro rapporto, include “coloro che il Padre gli ha dato” in modo tanto intenso da essere “una cosa sola come noi” e così donar loro vincolo in quell’amore divino.

 

Don Giovanni Milani