DON GIOVANNI MILANI MEDITA NELLA SECONDA DOMENICA DI PASQUA

In quest’ultimo giorno dell’ottava di Pasqua (la dilatazione liturgica del Giorno che dà senso nuovo al tempo) ci è offerto questo brano tanto denso; la narrazione abbraccia il tempo anche secondo il nostro battito consueto, ma lo eleva a senso e riflessione nuova. 

Già la sera di quel primo giorno della settimana mentre i discepoli custodivano ancora il loro “timore dei Giudei”, “venne Gesù” a porgere quel saluto: “Pace a voi”, che, come segnala la ripetizione, ben più che saluto, è consegna di pace nuova. 

Dice il testo: “Stette in mezzo” (ἔστη εἰς τὸ μέσον); lo “stare”, porsi lì in piedi tra quei timorosi, vuole rappresentare il vigore di vita ed energia del Risorto, infatti non solo mostra i segni della passione, ma respira, soffia effondendo lo Spirito santo. 

In pochi gesti vi è accumulo di segni e rivelazioni. 

Gesù appare in vigoria tutta nuova, propria del Risorto; ai discepoli che passano, per questa vigorosa presenza, dal timore alla gioia, dà mandato, che allinea al proprio, in forza di quella pace affermata: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Ancora con quel respiro, soffio di vita nuova che ben richiama il gesto antico di Genesi, opera creazione nuova nello Spirito santo donato con l’efficacia, appunto creatrice, di perdonare i peccati. 

Quando i discepoli, rianimati dalla visita del Signore comunicano (con l’identica affermazione della Maddalena) la loro esperienza a Tommaso, questi mostra la riluttanza a credere che è propria di pretende constatare fisicamente quanto è possibile solo alla fede. 

E Gesù ridona la sua presenza non solo ai discepoli, ma a Tommaso (d anche a noi): quell’esortazione a mettere il dito, è piuttosto invito a riflessione; infatti l’apostolo non leggiamo constati nel modo fisico e materiale che aveva sbandierato come sola garanzia per il proprio credere: quella presenza, quell’incontro col Signore, l’ha investito della grazia; in forza della fede ritrovata esclama quasi in contemplazione il suo: “Mio Signore e mio Dio!” che riproduce nell’esclamazione i due più comuni modi di indicare l’innominabile Nome di Dio. 

Tommaso riconosce nel Risorto, non il solo suo Maestro, ma il compiersi del mistero annunciato da tutta la vita pubblica di Gesù che solo ora ha finalmente recepito: tutto il vangelo è annuncio della presenza amorosa di Dio per l’uomo: in Gesù risorto l’apostolo ne coglie il senso. Come è la risurrezione a dar senso alla nostra fede. 

Gesù esprime un’ultima beatitudine che è per l’affidarsi nella fede di chi non ha avuto dono di incontro personale nella storia e, senza vedere, ha creduto: è beatitudine da fare nostra.

 

Don Giovanni Milani