SCUOLE/MANZONI FOR SYRIA.
PER NON DIMENTICARE
LA TRAGEDIA DEI MIGRANTI

liceo_classicoLECCO – Il MIUR ha invitato le scuole a dedicare i giorni dal 27 al 30 aprile ad azioni di sensibilizzazione sul dramma dei migranti che hanno perso la vita nel Mediterraneo (nota MIUR n. 2725 del 20.04.2015).

Quello che segue è il contributo di Elisabetta, studentessa del Manzoni che con altri compagni si è attivata per aiutare i profughi siriani e ha recentemente costituito il gruppo “Manzoni for Syria”; la sua riflessione accende una luce di speranza che va oltre la commemorazione delle vittime.

“Riad Khadrawi ha più di trenta anni e uno sguardo limpido, che sa cogliere il cuore delle cose. Riad si presenta una mattina al liceo Manzoni con un sorriso contagioso e molti sogni da raccontare e affidare a noi ragazzi. L’italiano lo parla bene nonostante sia qui da poco più di due anni, e ora dà una mano a quei compagni siriani che quotidianamente tentano la fuga dal loro paese dilaniato dalla guerra, per giungere in un’Europa spesso incapace di accoglierli. Ci racconta la sua storia, di come, prima dello scoppio della guerra civile, si fosse laureato a Damasco e lavorasse dignitosamente per un’agenzia di viaggi, ci parla poi dell’arrivo di quella primavera araba anche nel suo paese, che ha colmato giovani desiderosi di libertà come lui di grandi speranze, tutte poi soffocate nel sangue. Riad é venuto da noi per scrollarci di dosso quell’indifferenza che troppo facilmente permea la nostra realtà, e crea enormi distanze tra il nostro mondo di occidentali mai sazi di benessere e quello oltre il Mediterraneo, che vive realtà tragiche di povertà, di guerre, di grandi disuguaglianze sociali. Riad ci ha donato la sua preziosissima storia e ci ha affidato il desiderio di ritornare nella sua terra, e con lui anche Barbara e Arianna, due volontarie che hanno deciso di abbattere il muro dell’indifferenza, e che hanno saputo farsi carico di figli di altri, di anziani soli, di uomini e donne senza un futuro certo, con un presente riempito solo dal dolore del ricordo dei tempi passati in cui anche loro avevano una vita “normale”. Ci raccontano il loro contributo semplice, che non cambia il dolore della guerra, della solitudine, dell’egoismo, ma che trasforma nel suo piccolo tante realtà a partire da quella della nostra scuola.

Ascoltando la loro testimonianza, noi ragazzi non abbiamo potuto passare oltre e rivolgere il cuore ad altre cose. A scuola ci viene insegnata l’humanitas degli antichi, ci raccontano di Auschwitz come la peggiore delle atrocità, ci parlano di guerre passate, ci dicono che il concetto di razzismo è sbagliato e che l’ apartheid è stato un crimine contro l’umanità … Eppure se tutte queste importantissime parole rimangono relegate alle pagine di un libro e non riusciamo a farle vivere nel nostro presente sono assolutamente inutili, apparterranno sempre e solo ad un passato che possiamo studiare quanto vogliamo ma che non ha niente da comunicare e condividere col nostro oggi.

E invece è proprio a partire dal concetto che di Auschwitz adesso ce ne sono tante nel mondo, che l’apartheid forse non esiste più con questo nome ma le discriminazioni continuano, che ci siamo messi in gioco per dare anche noi un piccolo contributo a una delle tante tristi realtà presenti nel nostro mondo. La vendita di torte dello scorso venerdì è stata la dimostrazione di come, se ci si unisce, con un po’ di creatività e voglia di costruire insieme si possono fare grandi cose. Non abbiamo senz’altro cambiato le sorti della Siria, ma fosse anche per una sola vita in più a cui abbiamo dato l’occasione di crescere è valsa la pena di farlo! Purtroppo spesso si ragiona per quantità e nell’insieme di cifre si perde la dimensione unica di ciascuno, tutti quei volti, quelle mani, quei cuori, quegli sguardi nascosti dietro a quei numeri. Mi basta pensare al naufragio del peschereccio partito a est di Tripoli e che ha portato alla morte più di settecento persone.

Molti sono stati i commenti  mascherati di perbenismo e straripanti soltanto di un mero egoismo. Mi stupisce come la gente che tutti i giorni ha un pasto caldo, una casa, una famiglia, che può uscire quando vuole, andare al cinema, telefonare a un amico, ridere, piangere per un libro, pregare liberamente, si ostini a ripetere che stiamo peggio noi di tutte quelle anime cullate dal Mediterraneo. Mi è bastato un viaggio in treno per sentire i soliti commenti:” Cosa vengono qui a fare? Già noi non abbiamo il lavoro.” “Non capiscono che stanno meglio loro di noi?” “Con i soldi del viaggio potrebbero farsi una bella vita, là dove abitano, chi glielo fa fare?” E così via, parole assolutamente inutili e vuote. Dato che “lá si sta meglio” vorrei portare in quei paesi, da cui questi migranti fuggono, quanti lo pensano. Vorrei poi che costruissero una vita sotto il rumore delle bombe e tra i fumi delle città crollate, vorrei che provassero a dare un futuro ai figli, quando ogni giorno muoiono centinaia di bambini senza sapere il perchè. Vorrei che da innocenti vedessero quella violenza che quotidianamente i civili subiscono.

Una delle piccole grandi cose che ho imparato in questi diciannove anni di vita é che prima di dare un giudizio bisogna guardare da tutti i punti di vista le situazioni, che bisogna provare le scarpe dell’altro e immaginare le strade che ha percorso, forse per scoprire che anche lui, proprio come noi ha camminato sui sentieri del dolore, della solitudine, dell’amicizia e dell’amore, che, a di lá del colore della pelle, sono uguali per tutti. Credo che l’esperienza appena vissuta dalla nostra scuola sia stata molto importante perché ha permesso a noi studenti, attraverso la condivisione di un progetto, di avvicinare una realtà apparentemente distante e di guardarla attraverso occhi che, come quelli di Riad, bramano la libertà”.