DON GIOVANNI MILANI MEDITA NELLA DOMENICA DEL CIECO

La pagina che ci è proposta in questa IV domenica della Quaresima di contigua lettura con la III di Abramo, ne prosegue la forza d’annuncio con la sua evidente simbolicità luminosa, splendente della luce del Signore Gesù che da subito indica l’infermità sospettata di colpa, come opportunità a che “siano manifestate le opere di Dio”; anzi, con una proclamazione tutta di sapore profetico, dichiara il proprio “giorno” (quello visto nella gioia da Abramo Gv8,56) in cui è mandato ad agire e proclama: “Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”.

Il seguito è gesto, che a noi pare fin disdicevole, eppure solennemente evocativo: ”ἔπτυσεν χαμαὶ καὶ ἐποίησεν πηλὸν, sputò per terra e fece del fango”: trasparente il richiamo addirittura alla creazione e alla divina forza rigenerativa del Signore Gesù, segno ed eco di quella tonante affermazione da poco registrata da Giovanni: “prima che Abramo fosse: Io Sono” (Gv8,58). Anche l’invito a lavarsi a Siloe è evidente – letto dall’evangelista che precisa (a suo modo) il significato del nome: “Inviato” –, richiamo alla purificazione, rigenerazione battesimale e si fa per noi pure riflessione.

Confesso di sentirmi attratto dall’agire libero e di sempre meglio documentata riflessione a conquistare fede nel Signore Gesù di questo anonimo personaggio, che nella narrazione di Giovanni, si presenta in modo tanto diverso da quell’altro cieco, pieno di vivacità entusiastica, quel di Gerico. Quello grida il suo richiamo al Signore, chiede la guarigione e, sanato, lo vorrebbe seguire. Questo, tutto diversamente, poco a poco, prende coscienza, di chi gli abbia ridato salute e dignità nuova, in modo cauto, inquirente, ma sempre meglio deciso, si rafforza nella convinzione di essere stato coinvolto in gesto profetico. Subito riferisce quel che gli è capitato solo come opera de “l’uomo chiamato Gesù”, poi sta saldo affermando quanto ha avuto, disinteressato al minaccioso giudizio degli inquisitori: “Se sia peccatore non lo so”, sa invece bene quanto ha avuto e si permette fin ironia sarcastica contro l’accanimento dei Farisei: “Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?” e si fa evidente maestro nella considerazione dell’agire di Dio.

È “buttato fuori” espulso dalla sinagoga, privato, cioè, di ogni socialità, ma la sua positiva ricerca riflessiva, direi: la sua tempra morale, non arretra addirittura davanti a Gesù – che pure aveva dichiarato profeta – non si precipita all’aderire immediato a credere, vuole sapere: “E chi è, Signore, perché creda in lui?”. Solo poi la professione di fede: “Credo Signore!”.
Ne ammiro la libertà nei confronti dei potenti, mi fa riflettere quel progressivo rendersi conto del dono ricevuto e di chi gli si sia fatto accosto a donargli vita nuova.

 

Don Giovanni Milani