MEDITAZIONE DI DON G. MILANI:
TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Il tema di questa sezione del vangelo di Matteo, è la missione di Gesù che si evidenzia per la domanda di Giovanni, come poi sarà per la polemica dei farisei. Gesù risponde solo indirettamente alla domanda posta dai discepoli di Giovanni invitandoli a riferire “Ciò che udite e vedete”, alludendo così al compiersi, nelle sue opere, delle profezie. La domanda di Giovanni, si potrebbe interpretare in più modi: dubbio sull’agire di Gesù come messia, pensando “colui che deve venire”, annunciatore di proclamazioni taglienti, giudice di giudizi severi, mentre Gesù fa annunci ed opere di mitezza; oppure potrebbe leggersi in provocazione ad affrettare manifestazioni di potenza. Gesù esorta – anche noi – ad osservare il suo agire, ancor più il suo stile: esso stesso è annuncio della sua missione di perdono e pace. Ma il ritaglio liturgico ci porta, nella parola stessa di Gesù, riflessione sul precursore. Il Signore chiede – l’interrogativo è retorico – chi abbiano voluto vedere nel deserto.

L’immagine della “canna sbattuta dal vento” richiama, forse a contrasto, lo stesso Erode, odiato tiranno (sulle sue monete era impressa proprio una canna) e certo stava “nei palazzi dei re… vestito con abiti di lusso”. Giovanni, nella sua austera umanità, non cerca onori esteriori: non è re, rifiuta sin dignità di discendenza sacerdotale, ma – l’assicura Gesù – è “profeta”, “più che un profeta”, “Egli è colui del quale sta scritto: – Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te preparerà la tua via”. È il profeta dell’ultimo, definitivo annuncio, “l’Elia che sta per venire”: sta tra il tramonto dell’antica alleanza e il sorgere del compiersi della salvezza. La grandezza di Giovanni è visibile a tutti per la sua austerità forte: grande nell’umano e nella fedeltà all’alleanza, ma il più piccolo nel regno (chi si fa piccolo come un fanciullo vd.:18,2ss.) è più grande nel regno, nel nuovo, vero, definitivo regime di grazia. Se il regno è preteso dai violenti – avversari di Giovanni e dello stesso Signore Gesù – che affermano possederlo fino ad escluderne altri, perché conquistato con le pratiche di tradizione, lo zelo di pretesa religiosa anziché con la conversione del cuore predicata già da Giovanni e additata dal Signore Gesù.

L’esemplarità di Giovanni che ci è posta innanzi, anche dall’ammirato parlare di Gesù, il suo esser il profeta definitivo, richiama la nostra attenzione al nostro andare a Gesù, lui chiede decisione, proprio in contrasto con la sicurezza farisaica di possedere il regno con pratiche religiose. Anche per noi c’è rischio di pretenderci in pace sicura, in comunione con Dio per una nostra religione da catechismo, che riconosce la verità di Dio, poi realizza solo in adempimento di precetti tutta la vita cristiana senza vera conversione del cuore.

 

Don Giovanni Milani