DON GIOVANNI MILANI MEDITA: ULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

“Il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Faccio notare non solo lo scopo immediato, ma che Gesù senta bisogno di far aggiunta a quanto già aveva insegnato con una prima parabola, proponendone una seconda sullo stesso tema: la preghiera.

La prima parabola ci parlava di una vedova che solo con l’insistenza aveva potuto ottenere giustizia: è evidente ci insegnasse la perseveranza nel pregare; oggi invece il tema, se è ancora la preghiera, si volge all’atteggiamento intimo del pregare.

Il parlar per immagini del Signore Gesù ci dà opportunità di metterci dinnanzi figure con cui confrontarci e i due saliti al tempio a pregare ci possono essere di evidente riferimento: innanzitutto il primo, perché anche a noi può capitare d’avere “l’intima presunzione di essere giusti e disprezzare gli altri”, quanto meno sentircene superiori.

Gli atti religiosi del fariseo alimentano il suo vanto, di fronte al Signore pare pavoneggiarsi come davanti ad uno specchio; sant’Agostino commenta: “Era salito per pregare, ma non volle pregare, bensì lodare sé stesso”. Il suo impegno religioso è evidente, benché il Signore Gesù non pare volerlo apprezzare, infatti questo suo andare sin oltre la prescrizione della Legge o della consuetudine religiosa, pare, più che innalzarlo al Signore, rendersi grande ai propri occhi in distacco orgoglioso dai suoi simili bassamente giudicati sulla scorta della propria pretesa giustizia.

L’altro, il pubblicano, sente la propria distanza dall’esser giusto: “non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto”. È l’atteggiamento davvero opposto al fariseo che riconosce tutta quanta la propria debolezza, la fragilità distante da Dio: non ha meriti da esibire, vuole solo implorare misericordia.

La preghiera trova certamente il proprio senso nella fede, ma subito poi – nella distanza oggettiva tra noi ed il Signore – ci deve porre in atteggiamento di saggia umiltà: senza la fede la preghiera non trova senso, ma senza umiltà si affaccia subito la presunzione, l’orgoglio di chi si ritiene giusto, che poi, davanti alla grandezza della “giustizia” di Dio, è fin ridicolo.

Il Signore Gesù più volte ci si presenta come maestro nell’evocare riflessione con le immagini: queste del fariseo e del pubblicano, benché si possano considerare d’atteggiamento estremo non le dobbiamo trascurare. Forse non ci sentiamo tanto gravati da pesi morali quanto il pubblicano, mai però potremo crederci tanto liberi in coscienza da sentirci autorizzati a confronti con altri a nostro favore: è la grazia del Signore che sconta le nostre debolezze come quelle di ogni uomo; l’orgoglio poi è così facile a montare che dobbiam respingerlo nel valutare i nostri meriti tanto più pretendendo confronto con altri che mai conosciamo nell’intimo.

 

Don Giovanni Milani