Sono molto lieta che la sanità lecchese sia in buona salute, come dichiarato pochi giorni fa da Marco Trivelli, il direttore generale dell’ASST di Lecco; io purtroppo no e vorrei raccontare la mia esperienza, senza fare commenti.
Abito a Lecco da un paio d’anni, sono un’ex insegnante in pensione e ovviamente ho sempre pagato tutte le tasse.
Dopo aver avuto per qualche giorno un po’ di “sciatica”, curata con ibuprofene e un’iniezione di Voltaren prescritta dal mio medico di base, i dolori diventano lancinanti e mi impediscono qualsiasi movimento. Chiamo la guardia medica (sono ormai passate le 20), ma mi viene detto che loro non possono venire a domicilio, dovrei andare io, mi consigliano di chiamare il 112 e andare al pronto soccorso. Faccio così, il trasporto in ascensore sulla sedia della croce rossa mi procura dolori ancora più atroci, poi stesa in barella va un po’ meglio. Nonostante sia un giorno feriale il pronto soccorso è strapieno, al triage il volontario della Croce Rossa dice che ho lombosciatalgia e, senza che nessuno mi visiti, mi viene assegnato il codice verde. Seguono più di 8 ore di attesa, sto sempre peggio, piango dal dolore, il mio accompagnatore chiede più volte che mi venga dato un antidolorifico ma gli infermieri non possono e i medici sono occupati. Finalmente verso le 6 di mattina vengo visitata da una dottoressa, spiego cos’ho, mi chiede di alzare la gamba, rispondo che mi è impossibile, mi dice di rilassarmi, non ce la faccio. Mi chiede se sono caduta o ho avuto traumi: non ne ho avuti. Comunque intanto mi hanno fatto un antidolorifico e la dottoressa mi prescrive una radiografia.
Apprenderò in seguito che l’ernia del disco, di cui avevo i sintomi, non si può vedere dalla radiografia, che infatti non rileva nulla. Dopo ulteriore attesa vengo dimessa con una terapia di cortisone e antidolorifici. Nel frattempo i dolori sono tornati e non riesco a stare seduta, ma mi danno la scelta se andarmene con le mie gambe o pagare per il trasporto in ambulanza, chiaramente pago.
E di pagare non smetterò più.
Continuo a peggiorare, ormai sono stesa supina sul letto, sulla porzione di letto che occupa la mia schiena, non riesco a girarmi su un fianco né a fare il più piccolo movimento, ho incontinenza urinaria (ma tanto naturalmente ho il pannolone perché non riesco neanche più a sollevare il bacino abbastanza per usare la padella). Nonostante sappia che il trasporto sarà una tortura, quattro giorni dopo decidiamo di tornare al pronto soccorso. Questa volta sono in codice giallo, mi vede un neurochirurgo attento e gentile, mi viene fatta la TAC (l’esame che può individuare l’ernia del disco), che la conferma: è un’ernia che schiaccia completamente il nervo. Ci sarebbero gli estremi per un ricovero ma non c’è posto e vengo rimandata a casa, sempre in barella e sempre a pagamento.
Dopo aver tentato invano di migliorare il quadro clinico con un’infiltrazione di cortisone contatto il neurochirurgo. Questa è la situazione: dovrei essere operata, ma ho solo dolori fortissimi e sono immobilizzata a letto, non sono in pericolo di vita, quindi può solo mettermi in lista. In teoria ci vorrà circa un mese, ma capita abbastanza spesso che il giorno in cui l’operazione è programmata si presentino delle emergenze, nel qual caso naturalmente verrà rimandata.
Sono veramente al limite della sopportazione, nonostante a questo punto mi siano stati prescritti degli oppioidi che rendono il dolore gestibile se rimango sdraiata immobile, e chiedo se non è possibile essere operata in libera professione. Nel pomeriggio mi comunica che l’operazione può essere eseguita tre giorni dopo e costerà quasi 13000 euro. Per chi ha una pensione da insegnante è tanto, ma ho dei risparmi, accetto. C’è però la parte amministrativa: la cifra va pagata almeno 3 giorni prima dell’intervento e io non li ho immediatamente disponibili sul conto, quindi tutto viene rimandato ancora di qualche giorno. Continuo a soffrire, ma con una speranza. È da venti giorni che non mi muovo dal letto (né nel letto).
L’intervento va bene, viene rimosso il materiale fibroso che schiacciava il nervo, il dolore è scomparso, mi sembra un miracolo! C’è quello della ferita ma è tutta un’altra cosa. Il giorno dopo mi fanno alzare, dopo 3 settimane sdraiata assolutamente immobile mi gira la testa e le gambe non mi reggono. Il mio compagno si procura un girello, una sedia a rotelle per farmi sedere se mi sento svenire, e un alzawater ( che in ospedale non c’è, ma il personale del reparto, anche se oberato di lavoro, è gentilissimo e sempre pronto ad aiutare, a casa saremo da soli). Il giorno dopo sto effettivamente già un po’ meglio e quando torno a casa riesco a camminare per qualche minuto col girello. Sarà dura all’inizio, anche perché immobilità e medicine, per quanto indispensabili, mi hanno stremata, ma ce la farò.
Il chirurgo mi ha prescritto una visita fisioterapica entro 10 giorni: telefono per prenotare e scopro che il primo appuntamento è a Bellano nel marzo 2025, faccio varie altre telefonate a numeri che mi vengono dati via via ma non c’è niente da fare. Oltre all’intervento, quasi tutte le medicine, le iniezioni, i vari ausili, i trasporti, una visita privata fatta quando sembrava che in ospedale non ci fossero possibilità, pagherò anche questo, cosa volete che sia; però ho voluto spiegare cosa intende Marco Trivelli quando parla del buono stato di salute della sanità a Lecco e chi lo paga: chi ha sempre pagato le tasse. Comunque grazie a tutti quelli che hanno reso possibile questo stato di buona salute.
Lettera firmata