Esistono questioni che costituiscono importanti misuratori del grado di civiltà di un popolo e di ogni altra aggregazione umana, perché ne definiscono valori e prospettive. Sanità e norme che regolano i rapporti di lavoro sono sicuramente tra queste perché riguardano diritti e doveri irrinunciabili per chi voglia realmente alimentare una convivenza civile degna di tale nome.
Prendo spunto per il primo ambito, su cui purtroppo si fa un gran parlare in contesti troppe volte solo salottieri, da un eloquente articolo in cui mi sono appena imbattuto che rimanda a una interessante intervista a Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, a La Stampa.
Garattini, come si dovrebbe sempre fare specie su temi di questo tipo, va subito al cuore del ‘problema’ indicando una delle soluzioni ‘centrali’ (senza eluderne altre vista la complessità dell’argomento): la doverosa incentivazione economica del personale medico e infermieristico preposto, finora peraltro oggettivamente penalizzato dal confronto con analoghi trattamenti in svariate altre nazioni europee.
Quindi, con questo suo ‘navigato’ (94 anni, in grandissima parte vissuti ‘sul campo’) contributo propositivo salta a piè pari quello che spesso da linfa a uno stucchevole dibattito, non poche volte mosso da altri scopi, sul perché medici e infermieri ‘preferiscano’ sempre più il settore privato a quello pubblico. Con questo Garattini va, appunto, al cuore della questione non lasciandosi fuorviare dall’annoso e spesso strumentale dilemma “è nato prima l’uovo o la gallina?” E quindi mettendo in luce l’effettivo aspetto politico del problema e cioè la ‘scelta di campo’: il recupero dell’originale visione di una sanità universalistica, e relativa finalizzazione di cospicue, coerenti e qualificanti risorse economiche.
‘Scelta di campo’ che governi e l’intero mondo istituzionale e politico, al di là di ogni appartenenza e colore, hanno ancora di fronte ma che, invece e guarda caso, ha prodotto un taglio (per fare cassa? ma quale?) di 37 miliardi in dieci anni proprio ai bilanci della sanità, riducendola allo stato spesso comatoso che, in crescendo, riscontriamo un po’ tutti.
Quello che non certo solo io aggiungo, a rafforzamento logico, è quanto sia di per sé congruo un sistema che sempre più privilegia a vario titolo il settore privato a scapito, non certo casualmente, di quello ‘costitutivamente’ pubblico: infatti, a parità di efficienza, il pubblico dovrebbe essere pure ‘risparmioso’ non dovendo, altrettanto costitutivamente, produrre utili. Quindi, come ben si evidenzia, la questione è squisitamente di natura politica perché attiene alle priorità non solo economiche (la sanità non può essere ridotta a sola ‘merce’ e quindi subordinata alla capacità di spesa dei cittadini) che governi e classe dirigente intendono, al di là dei proclami, realmente perseguire.
E qui mi permetto un rimando alla situazione locale: perché il dg della nostra ASST Paolo Favini, che in passato aveva inaspettatamente e anche pubblicamente risposto a una serie di miei interrogativi con un esplicita e perentoria affermazione riguardo l’ASST di Lecco “ci guida un forte impegno a ricoprire con contratti di dipendenza tutti i posti vacanti”, ora non facilita tale assunzioni proponendosi come ‘apripista’ di un riconoscimento salariale, se non nella misura indicata da Garattini, almeno di una quota significativa di esso?
Quasi sicuramente potrebbe eccepire che tale proposta è perlomeno bizzarra e che non rientra, almeno in certa misura, nelle sue competenze e che dovrebbe pure tener conto della famose, e per certi versi famigerate, compatibilità economico-organizzative. Del resto, è vero che tale misura farebbe scalpore, ma sicuramente avrebbe l’appoggio di dipendenti e organizzazioni sindacali e così facendo saprebbe inoltre indicare, magari in possibile sintonia con l’assessore al Welfare della Regione Guido Bertolaso (altrettanto desideroso, almeno a parole, di portare concreti miglioramenti alla sanità regionale e alle sue ormai proverbiali contraddizioni), una strada effettiva di cambiamento, anche a livello nazionale.
Vediamo se il dg Favini saprà raccogliere questa ben concreta e tutt’altro che utopistica proposta! Male che vada, anche se poi pagasse questa sua scelta con una possibile rimozione dall’incarico, potrebbe ben dire di essere stato coerente con quanto da lui in precedenza pubblicamente affermato in termini di valorizzazione del settore sanitario pubblico.
Ovviamente i problemi sanitari e sociosanitari a ogni livello sono molteplici e non riducibili a una sola azione, ma certamente questo sarebbe un buon e inequivocabile inizio di cambiamento. Mi fermo volutamente qui e per non allungare troppo lo scritto. Cercherò di trattare in un successivo contributo l’altrettanto assai concreto e importantissimo tema sociale, non prima di aver qui segnalato l’intervento sull’argomento del (esimio?) professor Massimo Cacciari.
Germano Bosisio