Il decimo capitolo di Matteo, da cui ci sono offerti questi ultimi tre versetti, è praticamente costituito dal secondo dei cinque discorsi di Gesù attorno ai quali il primo vangelo svolge la sua narrazione: quello dell’invio, della missione, immediatamente dei dodici (e significativo per ogni discepolo).
Se abbiamo pazienza di leggere tutto quanto il capitolo e il discorso, ci accorgiamo che il Signore Gesù è molto esigente, chiede infatti ai suoi inviati disponibilità piena nei propri confronti
Ai dodici dà impegno per “le pecore sperdute della casa d’Israele”. Sprovvisti di tutto saranno come “agnelli in mezzo ai lupi” pur dovendo provvedere a infermi, morti, lebbrosi, i capi li porranno sotto accusa e subiranno ingiuria, potranno avere dissidi fin in famiglia nel porre prima e sopra gli stessi affetti famigliari Gesù, addirittura per lui dovranno esser disposti a perdere, o meglio, a donare, la vita.
Potrebbe sorprendere questa nostra finale del discorso in cui il Signore parla con insistenza dell’accoglienza (il temine in soli due versetti è ripetuto sei volte) rivolta al discepolo che lo pone in un rapporto tanto forte, gli dona dignità tanto alta, da pareggiarlo al Signore stesso.
“Chi accoglie voi accoglie me” afferma Gesù. L’accoglienza ha una dimensione d’umanità che esige si concretizzi in gesti di attenzione e premura nei confronti dei bisogni dell’accolto, pure, prima che sia fatta di azioni materiali e logistiche è qualcosa di più profondo e spirituale perché ha da riconoscere chi è accolto: un profeta, un giusto, il discepolo.
È utile qui richiamare nella Torah, l’antica istituzione dell’inviato (lo Shaliach, ;שליחricordiamone il primo: Eliezer di Damasco servo d’Abramo) che lo identificava con chi lo aveva mandato; cogliamo allora la grande dignità che il Signore Gesù attribuisce a chi lui abbia inviato.
Ma il nostro testo è assai denso, infatti, nella sua concisione, richiama però che è innanzitutto Gesù l’inviato dal Padre.
Ma allora ci accorgiamo che il discepolo, non solo riceve mandato dal Signore Gesù di rappresentarlo, ne prende invece la forza e concretezza nella trasmissione di grazia che discende proprio da chi ha mandato lo stesso Gesù: il Padre.
L’accoglienza – come discepoli – dei piccoli, gli umili, i bambini (il piccolo dono di un “bicchiere d’acqua fresca” pur non insignificante in quelle regioni aride) sarà degno di ricompensa perché gesto d’amore che – lo dobbiamo ricordare – non è solo slancio d’affetto, è piuttosto il gesto concreto che riconosce il Signore e ultimamente è accoglienza nei confronti del Padre.
Don Giovanni Milani