DON GIOVANNI MEDITA SULLA SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

In quest’ultima domenica di gennaio, secondo tradizione, celebriamo in festa la Santa Famiglia: la famiglia di Nazaret, come spesso la si chiama, benché avesse radici e genealogie altrove, pure lì trovò dimora come ci dice il ritaglio di vangelo che ci propone la liturgia. 

Il brano proposto pare centrato sull’obbediente fede di Giuseppe e la sua custodia della preziosa sua famiglia, quella del Figlio di Dio e della Madre che è la sua sposa. Il testo di Matteo – vangelo rivolto ai cristiani di origine ebraica – è continuamente allusivo all’AT e alla vicenda del popolo ebraico che si compie in Gesù. 

La persecuzione di Erode aveva imposto, alla santa Famiglia, la fuga verso la terra straniera d’Egitto, là Giuseppe l’aveva riparata per suggerimento angelico. Di là ancora, con identica modalità, è richiamato con comando preciso: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele”. 

Il testo con molta sobrietà narra l’immediata esecuzione del comando: “Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele”. Ci sorprende si dica dell’”entrare”, non invece tornare, “nella terra d’Israele”. È il tipico modo allusivo in richiamo all’antico dei vangeli (in particolare di Matteo). Si accenna qui – rievocando la vicenda del popolo antico che approda alla terra della liberazione – al nuovo esodo che si compie proprio in Gesù. 

Gesù entra nella terra Promessa, come in antico il Popolo eletto, ma ormai non per il promesso dono di una Terra, ma per realizzare promessa ben più grande, non solo di libertà in una terra propria, ma, da quella terra di salvezza, la redenzione dell’umanità intera. 

La meta di Giuseppe era evidentemente Betlemme, patria sua e di Davide, ma qui scorge minaccia nella persona regnante: non più Erode, ma il figlio Archelao, si affida allora a suggerimento angelico che lo indirizza alla Galilea e alla città di Nazaret. 

Vi è comunicazione profetica anche in questa scelta suggerita a Giuseppe infatti la Galilea era considerata luogo semi-pagano (il suo nome derivava da un generico e distanziato passo di Isaia). Qui in un significativo ritiro, quasi di isolamento, si forma il bambino che “salverà il suo popolo dai suoi peccati”, come era stato detto dall’angelo a Giuseppe. 

Anche l’oscura città di Nazaret è indicata dal vangelo come nella voce dei profeti a dare nome a Gesù: “Sarà chiamato Nazareno”. Per vero Matteo usa un termine (Ναζωραῖος) che può essere variamente recepito. 

Lo connette con oracolo profetico, gli interpreti vi trovano richiamo diverso. Chi semplicemente alla città, ma anche alla sua voce che richiama il germoglio, come Isaia chiama il Messia, o ancora al nazireato, antica forma di consacrazione già nell’AT.

 

Don Giovanni Milani