In questa prima domenica dell’Avvento – tempo di riflessione sull’attesa del Signore – sempre ci è riportato il discorso cosiddetto escatologico preso di volta in volta dai tre sinottici: quest’anno da Marco, probabile prima fonte della narrazione. I discepoli di Gesù sono, al pari di ogni Ebreo d’allora, evidentemente compiaciuti della bellezza del tempio, orgoglio della nazione, ed esprimono il compiacimento che Gesù pare freddare suscitando interrogativi: era convinzione che la distruzione del tempio avrebbe segnato il disfacimento, la fine del mondo. Gli intimi del Signore, i suoi primi quattro chiamati, seduti ormai di fronte al tempio sul Monte degli Ulivi, lo interrogano e Gesù acconsente parlarne. Il discorso assume descrizioni e predizioni storiche che si rifanno fin anche all’inopinata ed obbrobriosa violazione della sacralità del tempio e alla sua distruzione, da intendere in senso profetico come segno del limite e venir meno di quanto è umano e materiale, anche nell’amato segno religioso del tempio di Gerusalemme. Gesù parla, in verità usando gli accenti spesso drammatici dell’antica profezia, per presentare, anzitutto la vicenda umana della fragilità cui non saranno sottratti gli eletti (“Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni”) sarà anzi quello il tempo della loro testimonianza anche sofferta che dovranno affrontare con fiducia per l’aiuto dello Spirito Santo.
Le prove potranno essere di vario tipo: dai falsi cristi e profeti alla persecuzione, dalle carestie ai terremoti: Gesù descrive le fragilità umane, sociali e dell’ambiente che sono quelle cui sempre l’uomo è stato sottoposto ad anche di cui è stato artefice; sono – se ben osserviamo, come ci è fatta nota dall’evangelista con quel: “chi legge comprenda” – anche descrizioni che delineano la storia d’oggi stesso e descrivono lo scorrere di ogni tempo prima della venuta del Signore. L’esortazione fondamentale è a non allarmarsi, ma con un’attesa fiduciosa anche frammezzo ad eventi difficili e faticosi, vivere la propria testimonianza. Il discorso più propriamente escatologico, è espresso in termini profetici fondamentalmente non interpretabili con le nostre abituali categorie, ma a legger con
attenzione di grande positività perché: il Figlio dell’uomo: “manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fono all’estremità del cielo”, a dire dunque che i discepoli, gli eletti gli saranno partecipi. Può esser avvertito singolare che nell’Avvento, che è preparazione al Natale, si principi con il parlare, in certo senso, dall’opposto temporale: il compimento del tempo, ma la tradizione liturgica ci fa subito avvertiti del senso profondo dell’incarnazione del Verbo di Dio: è per la redenzione, per la riplasmazione dell’uomo e dell’intero universo a stabilire la grazia del Signore, a fondare nel suo amore la creazione nuova che supera ogni fragilità umana dell’origine in Adamo.
Don Giovanni Milani